E’ bello quando un disco ti viene a trovare nel momento migliore. Quando l’inverno si affaccia fuori la finestra nonostante il sole brilli alto nel cielo. Quando un spicchio dello stesso inverno viene a bussare alla tua porta e ti entra dentro. Ci sono momenti in cui la malinconia chiama e le persone attorno si nascondono dietro le proprie ombre, creando arabeschi dalle tonalità  di grigio. Il disco perfetto è quello di Claudio Domestico, aka Gnut, ragazzo di Napoli che supera i clichè di ogni genere e si mostra per quello che è: un vero cantautore.

Nel panorama nostrano, in cui spesso prevale chi è più paraculo, riuscire a proporre qualcosa che non cavalchi l’ultima ondata di revival di qualcosa, è impresa ardua. Si è così abbagliati dalla ricerca continua di ciò che è più vintage o espressione di una tradizione italiana che oggi si riflette per l’ennesima volta allo specchio, che poi ci si dimentica l’essenza delle cose e il significato delle parole. Claudio vince al primo colpo, non solo perchè nella prima frase di “Controvento” ci trovo una sintesi di quello che sono, ma soprattutto perchè non gioca con quello che racconta, ma lo fa con tono confidenziale, sincero, vestendolo di bello.

Undici brani acustici e notturni, folk venato di blues che richiama alla mente la tradizione inglese di John Martyn. Qualcuno ha fatto il nome di Nick Drake, ma ci vedo molto più il contemporaneo Nordgarden che il poeta di Tanworth in Arden. Malinconia carezzevole e poco spietata, conforto agrodolce per i momenti più brumosi, in cui il campo visivo di quel che sentiamo è disseminato di piccoli banchi di nebbia che ci impediscono di correre veloci. Il bello che non diventa banale, che si copre d’eleganza e d’autunno, diventando salvifica ghirlanda quotidiana che adorna i momenti in cui scivolare a fondo sarebbe stata l’unica alternativa possibile.