Questi qui mi puzzavano di paraculo ancor prima di ascoltarli. Dal nome, che usa un termine tanto di moda come “vintage”, alle pose di copertina, per finire al produttore, quel Doc McGhee che ha lavorato con Motley Crue e Guns’n’Roses. Da qualche parte ho letto che la band losangelina nasce ad uso e consumo delle radio di rock generalista, come la nostra Virgin Radio. In effetti è proprio così, il disco è un ibrido molto patinato di rock e soul, che strizza l’occhio tanto a Ben Harper quanto ai Black Crowes.

I pregi ci sono e vanno individuati nell’immediatezza delle canzoni, sempre piacevoli, sia che si tratti degli episodi più morbidamente soul che nei momenti più rock; inoltre sanno suonare molto bene e la voce è funzionale. Solo che manca quel tocco, la fiamma capace di incendiare gli animi e ravvivare un disco che sembra capace solamente di accontentare i palati “borghesi” di chi nel rock ci entra solo attraverso quelle radio mainstream di cui sopra, che in heavy rotation mettono sempre la stessa dozzina di band. Come se il rock avesse confini ristrettissimi e fosse più una questione di pose che di sostanza. Mancano il sangue, la polvere, il fango e la sacra scintilla che distingue un disco ispirato da una semplice, seppur buona interpretazione. Un lavoro stilisticamente ineccepibile e al passo con le mode e i tempi. Almeno agli occhi del sottoscritto, non è che sia necessariamente un pregio.