Ho deciso che questo disco mi sarebbe piaciuto sin dalla vista della copertina. Ma si sa, sotto l’albero puoi trovare un pacco bello largo e piatto di forma quadrangolare, tutto ben confezionato, che ti lascia presagire chissà  quali meraviglie (che so, uno dei primi quattro album dei Talking Heads, “Screamadelica”, “Funeral” – in vinile – aaaaaaaaaaaaaaah, che bel regalo sei pronto a sospirare) e poi magari dentro ci trovi il greatest hits dei Tokio Hotel (che per fortuna non esiste neanche). In vinile, per giunta!

Aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaarrrrrgghhhhhhhh!!! ti ritrovi a rantolare.

Che poi, in realtà , la copertina è perfettamente azzeccata per la musica di questo “936”. Giri di basso ripetuti in loop dall’inizio alla fine, melodie ondivaghe, cantato tondo, etereo e ovattato di Indra Dunis (moglie dell’altra metà  del duo Aaron Coyes, che verosimilmente smanetterà  e spedalerà  con i vari marchingegni) formano un flusso continuo in cui si insinuano qua e là  mini-inserti chitarristici ed effetti vari ed eventuali quasi cinematografici. Se fosse un dolce, sto disco sarebbe una marmellata con schegge di caramello sparate lì a caso (che poi, mica tanto a caso). L’ondata ipnagogica e ‘revival 80s’ esplosa qualche tempo fa viene qui ripresa e arricchita di sonorità  dub e psichedeliche.

Tutto è candido, misurato, eppure avvincente, stimolante: l’orecchio non si schioda, rimane attaccato per scoprire cosa si cela subito dopo. Oh, intendiamoci, si viaggia senza nessunissima fretta, anzi diciamo pure con fare dinoccolato e sornione. Ma probabilmente è proprio questo il segreto dell’ipnosi che riesce a provocare. Tutto procede dinamico in una apparente staticità , o se volete tutto è statico in una apparente dinamicità , va bene tutto.
Ora, sta marmellata ve la potete gustare intera o a cucchiaini, fate voi. Ma io al posto vostro lascerei il sottoscritto a cianciare con le sue menate e correrei a procurarmi il barattolo.