Sono un uomo malato”… Sono un uomo maligno. Non sono un uomo attraente. Credo che mi faccia male il fegato. Del resto, non me ne intendo un’acca della mia malattia e non so con certezza che cosa mi faccia male F. Dostoevskij, “Memorie del sottosuolo”

Nella grande mela fatta di lussuosi appartamenti openspace, si aggirano animali strani ““ d’altronde De Niro ci aveva già  avvertito in “Taxi Driver”. Colletto bianco e faccia da bravo ragazzo oggi non vogliono dire più niente. Si finisce per essere puliti fuori e rivoltanti dentro: poco “Acqua Rocchetta”, molto antieroe del novecento. Brandon Sullivan ( Michael Fassbender ) è l’esemplare tipo della nuova razza. Sorriso accogliente e lavoro stabile sono stracci di Maya che celano alla perfezione una pulsione sessuale maniacale, avvilita quanto reale. La sorella Sissy ( Carey Mulligan ) condivide in parte tale stortura, dondolandosi di continuo tra il grigiume delle mille lenzuola sfatte, sporcate la sera prima. Non c’è inizio nè finale, solo un rollio di barchette troppo piccole per affrontare la marea.

In Terra è concesso parlare di sesso solo in due occasioni: al bar sotto casa( birra, dialoghi esagerati, risa isteriche ) o con esperti medici ( puzzo di lattice e ammoniaca, tono di voce asettico e distaccato ); in entrambi i casi mai pienamente a nostro agio. Intendiamoci, non che il genere erotico spinto sia estraneo al cinema ““ al volo mi vengono in mente “‘Eyes wide shut’ e “‘Ultimo tango a Parigi’ ““ è solo che la maggior parte delle volte il risultato cinematografico scade nell’iconografia scandalistica piuttosto che nella critica imparziale e ragionata. Come fare allora? McQueen trova la soluzione mischiando viscere al cioccolato. La patina esteriore di Fassbender è fissata in un rapporto continuo con la sua anima perversa. A poco servono i truci incontri carnali o le scene di nudo ““ pulite anch’esse -, il film resta lindo, forse solo di uno strascico volgare quando la parentesi ormonale si perde oltre i cinque minuti. Emblema di questa agrodolce pietanza è la scena centrale, girata nel jetset americano sulle note rallentate di “New York, New York”, dove Carey Mulligan stupisce per la voce ferita degna della prima Billie Holiday. Illuminato da fredde luci alogene, il mondo basso e viscido riceve così una spruzzata di zucchero che lo rende più dolce, finendo per essere comprensibile anche al più bigotto degli spettatori.

Mi rendo conto che si capisce poco leggendo questa recensione. Tutto programmato non vi preoccupate ( si dice così, no? ). Il pallino lo lascio in mano vostra, vediamo quanto ci mettono le vostre pupille a saturarsi.