Da alcuni giorni ho deciso di smetterla con “Blues Funeral”. Non devo salvarlo per forza. E’ un album freddo con una carica emotiva di un automa. Va bene, Lanegan si sottrae ancora una volta a qualsivoglia stereotipo, ma a me il Lanegan di ieri, quel blues o quel folk intriso di atmosfera acustica, mi piaceva troppo. E’ vero, non sono nessuno per dire ciò che è blues o ciò che è folk intimo e sofferto: so solo che “Bleeding muddy water” e “Deep black vanishing train”, gli unici pezzi vagamente oscillanti verso dischi come “Scraps at midnight” e “Field songs” sono troppo espansivi per convincermi della loro franchezza.

E poi, un pezzo come “Ode to sad disco” mi fa rimpiangere persino quelle terribili camice a quadri di flanella.
Se proprio devo, non butto giù dalla torre, in bilico, “The gravedigger’s song”e “Gray goes black” ma solo perchè il mio orecchio me lo impone. Detto ciò, sia chiaro: Lanegan c’è. La sua inconfondibile amalgama vocale robusta e cavernicola, che riusciva a stupire con timbri dolci e acuti (questa volta più del solito), è sempre presente. Diversa è la cornice: una composizione sonora campionata e sintetica, che spiazza e confonde.

Lanegan: un futuro da cantautore popolare e facilmente spendibile, capace di sfornare con scioltezza pezzi come “Ode to sad disco”? Non a me l’ardua sentenza. “Praying for something so easy/ If only the moon/ Would have left me alone“, faccio un salto indietro di qualche anno e mi abbandono all’idea di toccare il fondo con emozioni uterine e dimesse, leggere e profonde, gentilmente offerte da quel giovane Lanegan.