When your death takes its toll/
all the money you made/
will never buy back your soul

Bob Dylan, Master of war

Il Belpaese profuma di pizza, suona il mandolino e si macchia di storie mafiose. I suoi abitanti sono indispettiti da chi li consacra macchiette, ma alla fine ci passano sopra, gli fanno anche un po’ l’occhiolino. Abbiamo sempre campato sulle nostre storielle nere, quelle dove antieroi che puzzano di muffa vengono elevati a grandi esempi di conduzione imprenditoriale, e personaggi pubblici che tentano volgarmente di emularli, diventano immediatamente sex symbols oliati in prima pagina. Dalla punta più a sud, alla picco ultimo del nord: questa è la nostra pelle.
Oggi siamo nel Veneto, dentro la fitta nebbia e le case di mattoncini scalcinati.

Il “‘Toso’ (Felice Maniero, Elio Germano nella fiction) è il capo ““ si dirà  poi mafioso ““ della cosiddetta “‘mala del brenta’, organizzazione criminale specializzata in rapine, spaccio e controllo del gioco d’azzardo. Con in testa questo primo abbozzo di figura, cerchiamo ora di individuare quali sono le variabili che lo hanno portato così in alto. Per comprendere Felice Maniero ci servono due elementi: l’intelligenza e l’estrazione sociale. Rinchiuso nell’emisfero grigio e poco prolifero della frustata media borghesia agricola, investe la sua furbizia nel primo campo ultra catalizzante d’ascesa personale, quello criminale. Nascono così i primi illeciti, ma anche le prime soddisfazioni finanziarie, che gli regaleranno la celebre nomea di “‘Faccia d’angelo’ dalla quale ha attinto Sky. Le attività  proseguono all’insegna di colpi geniali, e il Toso riesce a metter su famiglia diventando perfino padre del piccolo Paolino.

Morta la moglie, c’è Morena (Linda Messerklinger): nuovo gioco erotico-amoroso da mostrare al mondo sbattendoglielo in faccia senza troppa raffinatezza. Qui siamo nel momento di maggior splendore, quando gioielli, pellicce, Ferrari e conti da capogiro, vengono pagati con noncuranza da soldi ciclostilati che paiono fuoriusciti da un scatola senza fondo del Monopoli. Ma la romanza ha durata breve, e in un battibaleno il fiume si stringe diventando carcere. Tuttavia la sua fame di libertà  gli dona nuova iniziativa, scaraventandolo però su un campo poco promettente e alquanto dissestato, che lo costringerà  prima alla latitanza e poi alla fuga oltrefrontiera. Ubriaco di se stesso, non si fida dei suoi consiglieri e mira dritto alla ricerca dell’ultima bravata in quel di Capri. Peccato c’era quasi riuscito.

La mini-serie diretta da Angelo Porporati ha molto di vecchio e ben poco di nuovo. Persiste l’antinomia criminale-ispettore come la nuda rappresentazione della sfera sessuale che le gira intorno. L’agente Ricci (Carmine Recano) è troppo simile al “‘tipo Scialoja’, mentre Linda Messerklinger appare l’alter ego un po’ ripulito ““ con passata rapida s’intende – della prostituta Patrizia, fidanzata del Dandy in “Romanzo Criminale” – La serie’. Ritorna anche la rappresentazione sfarzosa della ricchezza che serve a coprire il sangue e a legittimare il ritratto rendendolo meno atroce. Se tutto ciò funzionava prima, ora non fa più collante. Lo spettatore si ritrova annoiato davanti a una trama che pensava esser thriller e invece è solo racconto cronistico di eventi. Mancano inoltre le scene quadro tipiche delle fiction criminali, quelle dove musica, fotografia e micro battute, si uniscono sublimando lo squallore del delitto su un podio di gloria, di sano fomento da divano.
Concludo con una riflessione che mi pare interessante. Avrete certamente notato che nel recente periodo il livello di attenzione rivolto all’ambiente criminale è aumentato ““ mi basta citare alla rinfusa: “Romanzo Criminale”, “Romanzo Criminale-La serie”, “Vallanzansca-Gli angeli del male”, “A.C.A.B”, “Diaz” ecc. Per non parlare poi del boom letterario riguardante inchieste prima apparentemente sconosciute.
Domanda: non è che siamo diventati come i nostri cugini americani, affamati di una catarsi scenica che ci dona un facile mea culpa con il quale far prima pace con noi stessi?

Alla domanda è difficile rispondere, ma una cosa è certa: Sky è come Paganini, non sa ripetersi.