Da tempo sdoganati nella loro versione che riemerge dalle umide ed inquietanti terre dei cimiteri, gli zombie in ambito cinematografico abbracciano quasi sempre il genere del catastrophe movie. Praticamente, con poche variazioni sul tema, c’è una qualche catastrofe ambientale, chimica, virale, che trasforma la gente in morti viventi. Di contro ci sarà  sempre uno sparuto gruppo di sopravvissuti, antropologicamente piuttosto variegato, che cerca di resistere e regalarsi un domani giorno per giorno. Non sfugge a queste ormai rigide regole nemmeno il fumetto originale da cui è stata tratta la serie televisiva The Walking Dead. Nulla di particolamente nuovo, ma a noi affamati di cultura pop da tanto tempo gli zombie sono sempre stati simpatici, che siano quelli un po’ grossolani di Romero, quelli del primo numero di Dylan Dog o quelli moderni, veloci e assetati di sangue come in 28 Giorni Dopo.

La prima stagione è un piccolo gioiello condensato in soli sei episodi, quasi impeccabili. C’è tensione, c’è l’adrenalina che sale e un bel po’ di azione. Epiche e drammatiche alcune sequenze, come quella in cui Rick si aggira a cavallo in una città  ormai deserta di anime e popolata solo da zombie. Nonostante il sovraffollamento cinematografico di proposte simili, l’impatto con la storia e i protagonisti è più che buono, impreziosito da una realizzazione tecnica di primo piano. Solo nel finale la tensione cala e prende il sopravvento un pizzico di banalità . Questioni di lana caprina che non avevano affievolito la forte curiosità  per la seconda stagione, andata in onda tra l’autunno del 2011 e l’inverno del 2012 con un paio di mesi di pausa.

Il rovescio della medaglia è inerente ai nuovi tredici episodi che sciupano tutto quanto fatto di buono in precedenza. Girata quasi interamente in una fattoria, la serie perde moltissimi colpi in quanto ad azione, mentre a prevalere è lo stucchevole e controverso rapporto tra i protagonisti. Gli zombie perdono il ruolo primario (e mi concederete che in una serie tv incentrata sui morti viventi non è una scelta vincente), in luogo di pessimi dialoghi e momenti di stanca in cui sembra quasi di assistere ad un ritorno de La casa nella prateria, in cui ogni tanto appare uno zombie come monito alla noia diffusa. Col progredire della storia non è difficile iniziare ad odiare letteralmente i protagonisti, ad eccezione del fighissimo Daryll, comunque relegato ad un ruolo minore nella seconda parte di stagione; sale prepotente la voglia di vederli sbaranati senza pietà  dai propri nemici e paradossalmente è proprio questo che mantiene viva l’attenzione fino all’ultima puntata dove, udite udite, tornano le orde di infetti, probabilmente irritate anche loro da quelle interminabili pippe mentali dei protagonisti. Le basi di un cambiamento per la terza stagione ci sono, magari l’attenersi con più rigore al fumetto potrà  giovare alla qualità  di una serie che ci lascia più di qualche, seppur divertita, perplessità .











The Walkind Dead trailer