Non mi stancherò mai di ribadire un concetto che oramai trovo quasi scontato ripetere, tanto lo ritengo vicino ad una verità  quasi oggettiva. è un argomento già  affrontato un paio di anni fa, sempre su queste pagine: mi riferisco alla grandezza di Stephin Merritt e alla sua prossimità  all’Olimpo dei grandi autori Pop, dove figurano gente come Paul McCartney o Brian Wilson. Purtroppo, però, questa recensione tratta la seconda delusione consecutiva recataci dal grande musicista newyorkese e dai suoi Magnetic Fields.

Successivamente a quella meravigliosa enciclopedia della canzone d’amore perfetta chiamata “69 Love Songs”, il talento di Stephin ci ha regalato ancora diversi guizzi: su tutti, l’ottimo “i”, e quel “Distortion” che a posteriori potremmo definire un gioiellino Fuzz ““ Pop; le canzoni dei Magnetic Fields suonate dai Jesus And Mary Chain, in pratica. Lo stesso non è avvenuto con “Realism”, dove i brani si vestivano di un leggiadro Folk ““ Pop: apparentemente, un discreto nono capitolo per la carriera del gruppo, ma che col tempo si è spento più del dovuto. Anche “Love At The Bottom Of The Sea” segue la tendenza del conferire un’unica, nuova veste sonora a tutti i brani del disco, sempre con la melodia limpida ed orecchiabile a far da filo conduttore. In questo caso, vengono proposti contorni Synth ““ Pop, nella miglior tradizione anni Ottanta; se vogliamo, non dissimile dai primi Talk Talk.

Il principio di partenza può anche avere il suo perchè, ma sono ahimè le canzoni a mancare. In qualche episodio sporadico, come la divertente “Andrew In Drag” o la conclusiva “All She Cares About Is Mariachi”,   torna a brillare il genio del grande autore, sempre in bilico tra scherzo e malinconia. Dei restanti tredici episodi, nessuno brilla in maniera particolare, senza però al contempo risultare disdicevole.

Un disco da zero a zero, in parole povere: senza infamia e senza lode. E non è certo una cosa che si può accettare da chi, come Merritt e soci, meriterebbe una posizione di spicco nella storia della Pop Song. Senz’altro, il continuo cambio di rotta nel sound non aiuta a capire le intenzioni della band: sembra anzi sottolineare una considerevole carenza d’ispirazione e di idee.

Un vero peccato.