Chi è Gregg Alexander? Innanzitutto è quel tizio che cantava nei New Radicals, band-meteora che ebbe successo tredici/quattordici anni fa con una manciata di brani poi sparì improvvisamente dalla circolazione, lasciandoci orfani dei New Radicals. E poi non è Billy Corgan anche se nel video di “You Get What You Give ” gli somiglia tantissimo (e dunque probabilmente è lui quello che da piccolo recitava nel telefilm “Super Vicki”, non Billy Corgan come tutti abbiamo creduto per anni ed anni).

Interessante, ma la vera domanda è un’altra: che fine ha fatto Gregg Alexander passata la sbornia post-successo dei New Radicals? Ha continuato a suonare o è tornato a fare l’attore in “SuperVicki”? Si è ritirato in solitudine su una montagna, a riflettere su quanto è brutta essere considerati una ‘one-hit-wonder’? Risposta: è tornato a fare ciò che faceva prima del successo con i New Radicals. Ossia, è tornato a fare il ghost-writer per musicisti famosi, regalandoci parecchie gemme pop di prim’ordine, canzoni che senza l’aiuto di Wikipedia non avrei mai saputo fossero farina del suo sacco. Quando ho letto che erano sue mi sono stupito parecchio.

E quali sono queste canzoni? Presto detto: sono tante, ma ce ne sono molte diventate famosissime anche in Italia. Sarebbero troppe da elencare tutte, ed allora ricorriamo al solito trucco della classifica-non-classifica. Ecco dunque una classifica-non-classifica a.k.a. lista (in rigoroso ordine di copiaincolla da Wiki, perchè qui quando si parla di pop da classifica non si fanno preferenze ““ il pop da classifica quando è bello è sempre bello) di canzoni scritte da Gregg Alexander post-successo. Ce n’è anche una scritta pre-successo, ma questo particolare non è poi così rilevante per il proseguimento del pezzo.

Life Is A Rollercoaster
2002, da “Ronan” di Ronan Keating

Ho sempre avuto paura delle montagne russe però questo video e soprattutto questa canzone di Ronan Keating hanno sempre esercitato su di me un fascino particolare. Sarà  il fatto che le immagini mi fanno venire il mal di mare, sarà  che con il senno di poi la scrittura di Gregg Alexander si sente tutta, sarà  il fatto che in “Life Is a Rollercoaster” si respira ancora tutta quell’atmosfera di speranza & purezza tipica degli anni novanta. Sarà  quel che sarà .

Lovin’ Each Day
2002, da “Ronan” di Ronan Keating

Idem come sopra anche se le immagini del video non mi fanno venire il mal di mare. La scrittura di Alexander si sente tutta ed il pezzo è decisamente più danzereccio di “Life Is a Rollercoaster”. Cose così le sentivi solo all’epoca, quando perfino Amadeus che presentava il Festivalbar ti sembrava una gran figata. Popstar troppo sottovalutata in Italia Ronan Keating.

Murder On The Dancefloor
2002, da “Read My Lips” di Sophie Ellis-Bextor

Qui mai e poi mai avrei detto che dietro ci stava lo zampino del tizio pelato dei New Radicals. Questa frase che ho appena vergato non è scritta in italiano corretto, però resta il fatto che “Music on the Dancefloor” di Sophie Ellis-Bextor resta una delle mie canzoni pop da classifica preferite di tutti i tempi. Quando l’ascolto mi vengono i brividi: un ritornello orecchiabilissimo di quelli che ti ritrovi a cantarli ossessivamente quando meno te lo aspetti ed atmosfere tipiche della fantastica disco ’70 per qualcosa che a più di undici anni di distanza suona ancora divinamente. Che classe!

Music Gest The Best Of Me
2002, da “Read My Lips” di Sophie Ellis-Bextor

Sì, al netto di un messaggio trito e ritrito (la musica è la mia vita, mi ha fatto rinascere e mi ha permesso di dare il meglio di me stessa) “Music Gets The Best Of Me” rappresenta un riuscitissimo tentativo di prendere “You Get What You Give”, semplificarla per il popolo della house da aperitivo e farne un grande successo che ha un senso ancora oggi che siamo nel 2012.

Se grazie a Wikipedia non avessi scoperto che in realtà  “Music Gets The Best Of Me” è opera del nostro eroe perdente Gregg Alexander non ci sarei mai arrivato.

Inner Smile
2000, da “The Greatest Hits” di Texas

Strano destino quello degli scozzesi Texas: tanta dura gavetta e poi il botto in Italia (e credo anche nel resto dell’Europa) grazie ad una canzone non scritta da loro ed inserita nella colonna sonora di un film del calibro di “Sognando Beckham”. Divertente, no? C’è da dire che su “Inner Smile” Wikipedia è alquanto contradditoria: sulla pagina di Gregg Alexander attribuisce lui la paternità  della canzone, mentre sulla pagina dei Texas parla di collaborazione. Ma fondo chi se ne importa? Quando la musica è bella lo è a prescindere da chi l’abbia scritta. Un applauso ad “Inner Smile” a ai Texas.

The Games Of Love
2003, da “Supernatural” di Santana

E se sopravvivo invecchio triste come Santana così diceva Dargen D’Amico in “Van Damme” e così pensano un po’ tutti vedendo come si sta trascinando attualmente Carlos Santana ““ ossia, lo stesso riff di chitarra di sempre applicato ad atmosfere che vogliono disperatamente suonare più moderne e gggiovani.

I tempi in cui suonava a Woodstock fatto come una scimmia sono ormai passati da secoli, però nove anni fa Santana ha avuto il buon gusto di farsi scrivere un pezzo da Gregg Alexander e farlo cantare dall’allora famosissima Michelle Branch (oggi è sparita, ma questo è un altro discorso) ed ha fatto centro. Che cosa avra mai fatto Santana in “The Game Of Love” oltre al solito assolo? Me l’ho chiedo invano da quando ho scoperto che “The Game Of Love” è opera del tizio dei New Radicals.

On The Horizon
2003, da “Reason” di Mel C

Melanie C. era forse la più bruttina delle Spice Girls ma era quella più vera e con la voce migliore. Detto questo, da solista ha fatto ottime cose poi si è persa per strada ““ succede, quando passano gli anni e la gente inizia a scordarsi di te.

Questa “On The Horizon” è forse una delle sue cose migliori per atmosfera so 90’s e melodie pop che ti entrano in testa e non ne escono più. Mi son sempre chiesto come fosse stata in grado di scrivere una cosa del genere (da ingenuo quale sono ero convinto che fosse autrice dei suoi pezzi), Gregg Alexander mi ha fornito la risposta. Ormai è il mio idolo dichiarato.

Everybody Get Pumped
2003, da “Best: The Greatest Hits of S Club 7” di S Club 7

Gli S Club 7 erano famosissimi nel Regno Unito mentre in Italia se li ricordano solo quelli che hanno memoria delle due false gemelle Kris&Kris quando presentavano le classifiche dance su Mtv e Daniele Bossari quando aveva l’anello al pizzetto (non ho mai capito come facesse, ad occhio e croce la fissava col mastice) e presentava programmi gradevoli e divertenti.

Detto questo e sottolineato il fatto che degli S Club 7 io ho in realtà  un ricordo molto vago, “Everybody Get Pumped” è stata il canto del cigno di questa semisconosciuta band creata dall’ideatore delle Spice Girls ed è stata incisa ben oltre l’epoca in cui Kris&Kris e Daniele Bossari su Mtv erano cool. Forse è per questo che ho un ricordo molto vago, ma resta il fatto che “Everybody Get Pumped” mi piace assai perchè ricorda tante altre cose che non sto qui ad elencare perchè altrimenti divento ripetitivo.

I’m Moving On
2002, da “Controlled Folly” di Scott Cain

Qui ci addentriamo in un territorio oscuro, del tipo “seduta spiritica per evocare una cosa fantasma che nessuno in Italia probabilmente conosce” (e nemmeno io conoscevo fino a qualche tempo fa se è per questo, ma almeno adesso posso bullarmi di conoscerla). Scott Cain è australiano e diventò famoso in patria per aver vinto un concorso tv per artisti emergenti, qui in Italia è un perfetto sconosciuto, questo brano è un clone spudoratissimo di “You Get What You Give” (diciamo che ne rappresenta una versione all’ammorbidente, anche se a dire il vero non è che l’originale sia poi tanto rock) ma suona benone e rappresenta un documento a suo modo importante che ci parla di quanto sia grande il mondo, talmente grande che ci sono artisti australiani che nemmeno conosciamo e che francamente facciamo bene ad ignorare. Passiamo oltre.

The Way You Touch Me
2003, da “7” di Enrique Iglesias

Enrique Iglesias mi sta talmente sulle scatole che non perdo troppo tempo a parlarne. Questo brano è un clone spudoratissimo di “You Get What You Give” (diciamo che ne rappresenta una versione all’ammorbidente, anche se a dire il vero non è che l’originale sia poi tanto rock) ma suona benone e rappresenta un documento a suo modo importante che ci parla di quanto sia grande il mondo, talmente grande che ci sono artisti spagnoli figli di altri artisti spagnoli che purtroppo nostro malgrado conosciamo e che francamente faremmo bene ad ignorare. Passiamo oltre. Ah, dimenticavo: per me Enrique Iglesias porta il parrucchino.

Gimme Little Sign
1994, da “Arrive All over You” di Danielle Brisebois

Forse il pezzo forte del lotto, l’asso nella manica: one-hit-wonder in Italia ma famosissima in Canada e negli States perchè prima di cantare faceva l’attrice, Danielle Brisebois proponeva un onestissimo pop-rock che è grasso che cola se paragonato ad Avril Lavigne e ad altre cose pop-rock che vengono dal Canada e dagli States.

In “Gimme Little Sign” ci senti dentro tutta quella speranza che si respirava a metà  anni novanta, quando sembrava che avessimo il mondo (musicale) in mano ed anche polpettoni musicali come questo ti sembravano fighissimi se la radio in spiaggia te li proponeva in loop. In “Gimme Little Sign”, insomma, puoi trovare tutto l’universo musicale e non del nostro eroe perdente Gregg Alexander.

Danielle Brisebois “Gimme Little Sign” la porta anche in Italia, rigorosamente in playback al Festivalbar del 1995. C’è pure un giovanissimo Gregg Alexander alla chitarra, ed ogni commento diventa a questo punto superfluo ““ se non che Gregg Alexander ha fatto i soldi come ghost-writer scrivendo tre o quattro canzoni e poi autoclonandosi alla grande, in una infinita ripetizioni di canzoni tutte più o meno simili che però funzionano alla grande. Eroe anche per questo, e mica tanto perdente.