Undici anni.

Undici anni sono passati da quell’undici di cui tutti si stanno ancora chiedendo il senso. Una data che si è trasformata in una domanda: cosa stavi facendo? Dov’eri quando il fumo ha cominciato a sbuffare dai piani più alti della prima torre? Dov’eri quando la torre si è accartocciata su sè stessa e dove quando il primo uomo volante è comparso a macchiare lo skyline più famoso del mondo?

Undici anni di intrighi internazionali, interpretazioni più o meno fantasiose e il volto del diavolo che si compone nella nube di detriti. Undici anni popolati da Nicolas Cage vestito da vigile del fuoco, col caschetto tirato indietro e un’accetta in mano. Sudato. Impolverato. Sconvolto.

Undici anni in cui il cinema non è stato in grado di darci niente se non il rancore e il risentimento che già  echeggiavano abbondantemente su tutti i canali di informazione. Tristezza, dannazione, colpa da indirizzare non si sa bene dove. Guerre preventive, guerre per niente risolutive, un arsenale atomico seppellito da qualche parte nel deserto e mai trovato, che si è trasformato prima in una minaccia dittatoriale caduta, poi nel costo del petrolio al barile. Cambiamenti, presidenti, proteste.

E per schiarirci le idee sarebbe bastato così poco.

Nel 2005 Jonathan Safran Foer è stato tra i primi a trattare l’argomento in un romanzo. Fiction. Come se fosse un sacrilegio toccare la tragedia comune con le dita della finzione, come se non se ne potesse parlare se non odiando o recriminando, compiangendo o onorando. Un romanzo eccezionale, costruito con una delicatezza tale da non lasciare altro che un sorriso amaro alla fine, quando arriva la sequenza delle foto che hanno fatto il giro del mondo. Senza aprire nessun interrogativo, il dipinto di una ricerca compiuta che non lascia alcun dubbio.

Il prossimo 23 Maggio uscirà  nelle sale italiane la trasposizione cinematografica di quel romanzo. Di quella finzione che è più chiara e completa di qualsiasi reportage, approfondimento o saggio. La storia di una piccola odissea attraverso le strade di una città  sconvolta, che vista con gli occhi di un ragazzino di undici anni rimasto orfano di padre ““ meravigliosa interpretazione di Thomas Horn al suo esordio ““ appare ancora più gigantesca e afflitta. Come un elefante ferito, piegato sulle ginocchia in unico suono disperato che non piange, perchè solo gli esseri umani piangono.

Non c’è nessun complotto mondiale da comprendere, solo un vuoto personale da colmare inseguendo i dettagli, vincendo le proprie paure e assecondando le proprie manie. Solo una traccia de seguire, che magari non porterà  a niente ma che è più forte di tutte le indagini su scala globale. Regola numero sette: niente può interrompere la ricerca.

Gli eroismi dei pompieri e dei poliziotti, i pannelli ingombri delle foto dei dispersi, l’immagine di una nazione confusa e arrabbiata sono da un’altra parte. Qui c’è la storia di Oskar, che gira con le scarpe pesanti e una chiave appesa al collo, la chiave che lo trascina ““ suo malgrado a volte ““ a comprendere il perchè della scomparsa del padre (Tom Hanks, non al suo splendore) e del dolore della madre (Sandra Bullock. Che dire, è brava). Una chiave che sembra non andare bene per nessuna serratura, ma che apre centinaia di porte. Da Manhattan a Brooklyn, fino a Brighton Beach che è ai confini del mondo per chi ha paura della metropolitana e dei ponti.

E se è tutto un gioco di dettagli, è proprio nei dettagli che si compie il miracolo. Nel cameo di John Goodman, in livrea da portiere distratto, nell’eloquenza del mutismo autoimposto del renter (Max von Sydow) e la sua assordante storia non raccontata, negli aerei che passano in continuazione dietro alle spalle del protagonista. Nei numeri, che sono dappertutto. Dettagli che in questi undici anni ci eravamo persi, nascosti dai colossal, dai documentari e dai prodotti chiassosi e piagnucolosi, buoni solo a pescare nel vittimismo umano. Dettagli che sembrano venire direttamente dalle macerie, non delle torri ma della vita che rimane dopo qualsiasi crollo, reale o figurato.

Ecco, bastava così poco per schiarirci le idee, per cominciare finalmente a capire. Bastava che uno sguardo veramente innocente invertisse la sequenza delle fotografie del jumping man.

Se Foer ci è riuscito, Stephen Daldry ci è andato incredibilmente vicino.

Rating:

Regia di Stephen Daldry
Soggetto: Jonathan Safran Foer
Sceneggiatura: Eric Roth
Musiche: Alexandre Desplat
Produzione: Scott Rudin
Distribuzione: Warner Bros.
Con: Tom Hanks, Sandra Bullock, Thomas Horn, Max Von Sydow, Viola Davis, John Goodman, Jeffrey Wright, Zoe Caldwell
Anno: 2011
Paese: USA
Durata: 129min





“Molto Forte, Incredibilmente Vicino” Il Trailer