Strano e poliedrico gruppo, i Constants. Capace di passare, senza battere ciglio ma abbattendo numerose barriere, dall’ordinato math rock dei primi dischi (“Nostalgia For The Future” e “The Murder Of Tom Fitzgerril”) alla furia post hardcore dei lavori successivi. Sempre in grado di cambiare, sorprendendo e sorprendendosi. Col quinto album, che esce in piena estate ma ancora troppo presto perchè i fiori della copertina appassiscano, l’obiettivo era per loro stessa ammissione riscoprire gli anni novanta, rispolverando un certo gusto per le atmosfere shoegaze prima maniera (ancora non di moda come sarebbero diventate nel nuovo millennio) in un sound più vicino a quello degli esordi.

Missione piuttosto ardua da compiere senza ripetere se stessi, e il risultato purtroppo convince solo in parte. Le canzoni che compongono “Pasiflora” sembrano sospese nello spazio e nel tempo (e di per sè non è un male), perfette nella produzione ma all’inizio difficili da penetrare, come se questi eclettici musicisti bostoniani si divertissero a gettare fumo negli occhi di chi ascolta, giocando a nascondino più del solito dietro cumuli di sintetizzatori, ritornelli orecchiabili e educati (“Sunrise”, “Beautiful”, “Hourglass”). Un muro di suono, trasparente e apparentemente invalicabile, che a tratti li fa somigliare ai compagni di etichetta Herra Terra e Actor & Actresses (“Pressure”) con qualche numero leggermente più rock (“Mourning”, alcune parti di “Passenger”in cui riecheggiano chitarre alla Johnny Marr e un cantato in stile primi Smiths). Solo da metà  in poi questa costruzione incredibilmente ben ideata comincia a sgretolarsi, lasciando intravedere il crudo mondo emozionale che c’è dietro. Ascoltando l’interlocutoria “Sunset”, dal suono elettronico e sperimentale che può ricordare quello sintetico dei Ladytron, sembra di entrare in un disco diverso: come se tutte le sensazioni finora rimaste in disparte convogliassero nella batteria kraut rock di “Austere”, per poi esplodere con le liberatorie “1985” e “Crosses”.

L’inaspettata e dirompente carica energetica delle ultime tre – quattro tracce spinge a rivalutare un album che alla fine merita una sufficienza piena se preso nella sua totalità , soprattutto grazie all’atmosfera incantata e un po’ cupa che lo pervade. Serve però un alto numero di ascolti attenti per apprezzarlo appieno, e resta la sensazione che la devastante onda emotiva che ha sempre caratterizzato le composizioni dei Constants stavolta colpisca con minor forza che in passato.

Photo Credit: Bandcamp