Sono una donna ed un uomo e vengono dal Texas a darci una svegliata a suon di secchiate di polvere e petrolio. Jennifer Moore e Adam Jones non passano inosservati, sono un duo singolare nel panorama indie rock odierno, una sorta di formula inversa dei White Stripes: lei alla voce, chitarra elettrica ed organo, lui alla batteria. I Deep Time sono la costola degli Yellow Fever, band di quattro elementi non proprio prolifica che in sette anni ha prodotto un solo album e una manciata di EP. Ufficialmente si sciolgono all’inizio del 2012 ma in pratica è dal 2010 che non sono più in attività . Jennifer e Adam, fondatori del vecchio gruppo, chiudono baracca e decidono di provare a far da soli, formando i Deep Time. Questo è il loro album di debutto.

Il duo in scarsi 40 minuti propone la sua singolare ricetta: un art pop asciutto e un po’ weird, una psichedelia lucida, tanto ammaliante quanto robusta. I Deep Time hanno indovinato il periodo per debuttare al meglio senza passare inosservati, se il trend tra i gruppi odierni è quello di usare suoni eterei e sfumati, con ritmo e melodia appena accennati, i Deep Time fanno tutt’altro. La loro formula è un’anomalia nel panorama musicale indipendente, tanto che la prima difficoltà  che si riscontra è il genere in cui inserirli. All’inizio pensavo addirittura alla no wave, ingannata dal suono asciutto. Gli arrangiamenti elaborati però suggerivano altro. Allora ho pensato al garage rock, ma anche lì mancava qualcosa, esattamente una chitarra dal suono corposo, e poi c’era quell’organo che da solo li autoescludeva. Affidiamoci quindi a Lastfm, ma lì venivano catalogati addirittura come surf rock, buono solo in parte, come tutto il resto. Quindi la decisione finale è stata quella di tornare sul luogo del delitto, il sito della casa discografica, e ripartire da lì. Art pop era la sentenza, per quanto potesse essere solo una vaga indicazione da qualcosa bisognava pur cominciare.

Questa difficoltà  nel non riuscire a trovare una definizione precisa indica quanto Deep Time non sia un album prevedibile. Indica come tutte le influenze non siano state manipolate da Jennifer e Adam per restituire un nuovo pattern, uno sterile puzzle di suoni aggiornato ai nuovi eventi, ma siano state assorbite, vissute e ricreate di nuovo. Come chef navigati, Jennifer e Adam non hanno creato una nuova pietanza ma inaugurato un nuovo sapore. Nove tracce che vanno via come le ciliegie, che ti obbligano ad intensificare gli ascolti perchè si ha sempre l’impressione di non aver compreso un passaggio, colto un cambiamento, notato una particolarità . La voce della Moore poi è uno strumento a sè, i suoi stravaganti intercalari regalano ai brani quella verve che li rende dei simpatici divertissement.

Non un capello fuori posto, I Deep Time sono quel tipo di fenomeno raro che è facile perdere nel carnevale del rock moderno perchè non indossano un make up kabuki e non si versano birra sulla testa. Non vanno in giro su di un monster truck nè su di un tour bus sgargiante col gabinetto rotto, quindi potreste non vedere parcheggiato il loro furgoncino al di fuori del locale. Eppure vi consiglio di salirci. Sarà  un bel giro. Così almeno suggerisce Ian Svenonius. Insomma avete capito si o no? Non perdeteveli per nessuna ragione.

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Deep Time
[ Hardly Art – 2012 ]
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Rating:
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