Faccio una premessa doverosa: nel 2009 fu difficile digerire “The Resistance”. I passaggi kitsch, le orchestrazioni gonfie, gli intermezzi operistici e la sinfonia in tre parti rappresentavano una frenata artistica da sfiorare il ridicolo, espressione di un solco incolmabile tra lucidità  musicale e pacchianeria sgargiante. Dirò di più: già  “Black Holes & Revelations” propendeva decisamente verso il cattivo gusto con le sue esagerate architetture sonore. La terza e ultima premessa è questa: i Muse, formazione solida legata a canzoni orecchiabili e trascinanti, capace di esaltare il cuore e l’udito dei fan e sorretta da album maestosi e barocchi, non esistono più.

Sgombrato il campo dagli equivoci, devo ammettere che “The 2nd Law” è un album tutto sommato sufficiente. Un po’ più compatto ed immediato dei lavori precedenti e decisamente meno “eccentrico “, il disco centra, seppur a piccole dosi, il bersaglio della ripresa. Non debbono spaventare i generi che, ahimè, fanno capolino: tra accenni di dubstep, richiami funky anni 80 e tendenze classiciste, le novità  sono da cercare altrove.

“Supremacy” apre le danze con un riff granitico e un sound da vecchi tempi; la melodia riscopre l’esplosività  strutturale e il piacere del falsetto vertiginoso che caratterizzavano i pezzi di “Origin of Symmetry”. è una pista in qualche modo già  battuta ma la canzone non è da gettare frettolosamente nel dimenticatoio. Sensazione che sembra non riguardare assolutamente la successiva “Madness”, sciaguratamente scelta come singolo per presentare “The 2nd Law”, che verrà  ricordata come un gigantesco punto di domanda nella loro carriera: pericolose vibrazioni pop in bilico tra sonorità  U2 e banalità  senza indugi, pessima. Lo stesso giudizio negativo non può essere risparmiato per ” Survival” (anticipata dalla breve intro strumentale “Prelude”), talmente pomposa da ricordare perchè i Queen siano diventati il fantasma ingombrante di questa band. “Panic Station” arriva a salvare il fortino, portando i Muse nei pieni anni ’80 con un funky danzereccio in piena regola, sospeso tra “Another One Bites The Dust”, Michael Jackson e Prince. A molti farà  storcere il naso ma sicuramente sarà  la protagonista dei prossimi live della band. Una delle tracce migliori è “Follow Me “, dove il battito cardiaco del figlio di Matt introduce una dolce melodia a cavallo tra dance ed elettronica.

La seconda parte dell’album si aprecon ” Big Freeze”, traccia fin troppo pop e carente di originalità . Le successive “Save Me” e “Liquid State” rappresentano una novità  sostanziale nella storia dei Muse. Matt, paroliere e totem della band, cede il posto e la voce a Chris Wolsthenholme, le cui canzoni sono altamente autobiografiche dato che trattano l’abuso di alcolici che lo ha portato ad intraprendere un processo di disintossicazione. La prima canzone che lo vede coinvolto, una ninna nanna piuttosto ripetitiva, passa quasi inosservata mentre la successiva, aumentando il ritmo, esprime un certo potenziale. Nel complesso la prova di Wolsthenholme come cantante va promossa a pieni voti. “The 2nd Law” si chiude con “Unsustainable” e “Isolated System”: la prima è il pezzo dubstep che tante rimostranze ha suscitato; può spiazzare ma c’è da dire che è un ottimo pezzo e nel catalogo di una band con cotante ambizioni, può aspirare a un ruolo di primo piano. “Isolated System” invece viaggia tra orchestrazioni e tastiere finendo col somigliare alla colonna sonora di un film di fantascienza.

Dopo ripetuti e continui ascolti “The 2nd Law” risulta meno brutto di quello che le apparenze lasciavano presagire; le soluzioni grandiose e i volumi sonori di un tempo sono acqua passata ma non è tutto da bocciare. Ci sono almeno cinque tracce che meritano una votazione alta ed il disco è un fondamentale miglioramento dallo sciagurato “The Resistance”. La pecca principale, semmai, andrà  ricercata nella mancanza di un percorso uniforme tra i brani; l’ascoltatore si affanna un po’ troppo nel capire quale sia la soluzione ottimale o il filo conduttore dell’opera, una confusione figlia anche di un’involuzione evidente, consumatasi negli anni. C’è senza dubbio il rammarico per ciò che fu ed ora non è più, ma non disperiamoci totalmente, qualche cartuccia sembra essere rimasta.

Credit Foto: Jeff Forney