Nel 2009 Laura Loriga compone e registra il suo primo lavoro in pellegrinaggio tra l’Italia, la Francia e gli Stati Uniti: la immagino mentre scrive dentro caffè e diner, con le valigie che le premono contro le ginocchia, una ragazza che canta a bassa voce le parole di una canzone e fuori una stagione che non permette di ricordare cos’è l’estate ““ sono le sue ‘blueberry nights’ senza una protagonista dall’aspetto rassicurante come di quello di Norah Jones; “Apocalypse sets in” non conosce il conforto delle torte ai mirtilli divise con sconosciuti; conosce la malinconia feroce di chi non sa dove fermarsi; è l’immagine di una ragazza che affitta un appartamento vuoto e non crede nella necessità  di arredarlo.

A distanza di tre anni pubblica la sua seconda prova, nata da un lavoro di circa due anni, “Memories for the unseen”: la sensazione è che Laura abbia iniziato a svuotare gli scatoloni, a mettere i ricordi sugli scaffali, a riempire i raccoglitori di fotografie. è un album che ha una nuova stabilità , una capacità  di dare nomi alle cose: non sfugge, guarda a quello che è già  accaduto. “Memories for the unseen” nasce da qui: dal momento in cui si indugia un secondo di più su un’immagine che un tempo significava altro, dai fantasmi imprigionati nelle scatole e liberati dal nastro adesivo, da una pioggia improvvisa che ti obbliga a svuotare la cantina dagli ingombri sentimentali che neanche una vita fatta di spostamenti riesce a evitarti.

Nessuna autoindulgenza in questa operazione, nessun sentimentalismo: Laura suona con una forza, con una consapevolezza matura, non teme il suono dei tasti del piano ““ eppure “Memories for the unseen” resta in sottofondo e non riesce a incidere, a risuonare nelle stanze con la forza di cui dovrebbe essere dotato; resta a metà , con l’inganno di quei lavori suonati bene (Laura si accompagna con ottimi musicisti, che sanno come amplificare il materiale che lei ha composto) ma che sappiamo che non riascolteremo con l’intensità  necessaria ““ è un peccato, perchè Laura ha la teatralità  sufficiente a riempire il palcoscenico, ma Memories for the unseen non incanta il pubblico.

Take my hand to the river, sing a song for both wierd lovers death: qualche mese fa i Giardini di Mirò salutavano così il loro ritorno, e credo che musicalmente e idealmente siamo qua anche con questo lavoro, tra le parole dei GdM e i suoni dei Devics, in uno spazio che rischia di risultare fin troppo esplorato ultimamente.

Memories For The Unseen
[ Urtovox – 2012]
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