Se si legge la biografia dei Repetitor su Wikipedia la nostra pancia torna a ribollire delle sensazione di essersi persi qualcosa. La stessa che abbiamo provato guardando i documentari di vecchi concerti, rovistando tra le bancarelle di vinili o sentendo alla radio che Kurt Cobain o Ian Curtis erano morti. O, senza scomodare i morti, quando ci siamo resi conto che il nostro primo concerto dei Sonic Youth sarebbe stato anche l’ultimo.

Poche righe sul quell’enciclopedia asettica parlano di un gruppo che si forma quando i componenti neanche sanno suonare, di un primo album che ottiene recensioni entusiaste e di una popolarità  guadagnata e meritata. A fare da sfondo ci sono momenti storici che fortunatamente non ci hanno neanche sfiorato, nonostante siano accaduti proprio dall’altra parte dell’Adriatico.

Se si ascolta il loro secondo e ultimo disco “DobrodoÅ¡li na okean” (ovvero: “Benvenuti sull’oceano”), potrebbe anche sembrare che provenga da una qualche scena degli anni ’90. Suona come i Sonic Youth, i Fugazi, i Mudhoney. E suona tremendamente bene.
E sì, potrebbe apparire come già  sentito e inutile, ma se si diventa curiosi, invece che scettici, qui dentro si potrà  trovare molto, e di molto buono.
è uscito il 29 novembre per l’etichetta slovena Moonlee Records, due cose che a prima vista non dicono assolutamente nulla, quando invece questa data è stata per anni l’anniversario della Jugoslavia. Uno stato dissolto, di cui sia la Serbia che la Slovenia facevano parte. Perchè, sì, i Repetitor non vengono dalla cantina puzzolente di qualche stato dove abbiamo sognato di trasferirci, ma da Belgrado: un posto di cui sappiamo poco o niente. E la loro sala prove non si trova in una cantina, ma dentro il Bigz: un edificio enorme, una volta sede di una casa editrice e ora semi-occupato e pieno, pieno di porte che nascondono di tutto. Bar, club, palestre e le sale prove di una scena rumorosa quanto genuina. E cantano in serbo, sì. Ma la cosa non dove spaventarci, per una serie di motivi. Perchè l’esterofilia non è certo di casa qui, e sono loro stessi definire quello che fanno “rock di Belgrado” spiegando che è una cosa che ha a che fare con l’atteggiamento, il linguaggio e un suono sporco e spontaneo. Sporco, sì, e anche solidissimo ed energico. E infatti la musica da sola esprime benissimo quello che i testi servono solo a delineare. E anche perchè, se proprio siamo curiosi, bastano un paio di click e di copia incolla in un qualche motore di ricerca per capire più a fondo.

E non c’è niente di gratuitamente rabbioso. C’è piuttosto rassegnazione e diffidenza, ma lucida e consapevole. Si apre con “Devojke idu u Minhem”, che tradotto significa “Le ragazze vanno a Monaco”. Sarà  uno struggente addio? Sarà  una protesta contro il sistema, lo stato, che rende la fuga inevitabile? No, è semplicemente un verso lapidario che dice: “Questa città  non è abbastanza grande per tutti e due”. E i brani proseguono con la stessa potenza, la stessa rabbia passando per il singolo “U pravom trenutku” e “Oktobarski Salon” (ancora diffidenza, questa volta verso le pretese artistoidi della gente: il Salone d’ottobre è una delle principali esibizioni di arte contemporanea di Belgrado). E si placa infine con l’unico momento acustico: “Pripazi na ljude”, ovvero “Fate attenzione alla gente”.
Ci sono parole crude e ciniche, ma anche oneste. Come è onesto e chiaro il fatto che questo album, dal punto di vista musicale, non rappresenti nessuna innovazione e nessuna sorpresa. Ma è straordinariamente importante, se appena contestualizzato.

E vale la pena parlarne per riflettere anche sulla nostra, di scena, e chiederci quali sono le nostre voci, quali sono le cose che parlano veramente di noi. La cosa più simile che abbiamo prodotto, in questo senso, erano Le Luci della Centrale Elettrica. E certo, non era un dipinto felice, ma tornando al punto di partenza: sognare periodi che sono già  passati non ha senso, quando c’è tanto da raccontare anche su quello che stiamo vivendo e fidatevi che, se suonate bene, anche le nostre storie faranno ribollire la pancia a qualcuno.