Perchè chiamarsi al plurale? Posso capire i gruppi di quattro o cinque membri che si danno un nome singolare per dimostrare di essere uniti etc etc. Voi siete in tre, ok, ma il progetto è evidentemente solista, la mente creatrice è una soltanto, gli altri suonano solo dal vivo”… proprio non li capisco quelli come Søren Løkke Juul da Copenaghen: che cosa vogliono affermare con un nome d’arte come Indians?

Forse vuole proclamarsi portavoce delle tribù americane estinte a causa delle colonizzazioni”… forse no. Forse non ce ne può importare di meno. Forse la sua musica fa capire già  tutto (anche se me li vedo dei moderni indiani a suonare al suo fianco). Ha capito tutto anche la 4AD, etichetta inglese che da 34 anni ormai porta al suo nido artisti tra i “grandissimi” del nostro secolo: Bon Iver, St. Vincent, Iron and Wine, The National, Neil Halstead e tantissimi altri (davvero). Un album d’esordio che promette molto, che ti porta “altrove”, appunto.
Suoni scandinavi, atmosfere apparentemente gelide, riverberi ventosi che ti entrano sotto la maglietta e ti permeano fino al midollo”… e ti scaldano: un fenomeno inspiegabile alle mie orecchie e secondo le mie esperienze precedenti di ascolto all’interno di questo genere.

Vederli suonare è molto affascinante (sono in tre), in particolare mi riferisco alla 4AD Session svoltasi presso l’isola privata di Osea, nell’Essex, dove si molleggiano allegramente durante “New”, opening track di “Somewhere Else”, tre tastiere, qualche effetto sia drum che echo e il pezzo è fatto: ed è un pezzo grandioso. Timidi figliuoli di un Bon Iver che probabilmente non raggiungeranno mai, i tre indiani capitanati da Søren alternano echi SigurRòsiani (molte canzoni potrebbero essere loro, dimezzandone il beat e quindi triplicandone la durata, come “Lips, lips, lips” e “Magic Kids”), a temi più propriamente acustici alt-folk in stile, appunto, Vernoniano: sto parlando di “I am haunted” e del singolo (in free download da un po’) “Cakelakers”, il primo scritto dal nostro amico danese, il quale canta il tema della separazione come constatazione di un bene che rimane nel tempo e nello spazio.

Sono motivi che ti entrano in testa, perchè sono concreti come una stretta di mano”… fredda, che raccoglie il calore dalla mano dell’altro, cioè da noi che ascoltiamo. La brina pian piano si scioglie (“Melt”): se dovessi scegliere un’immagine, un’esperienza quotidiana da associare a questo’album è quella del sole di febbraio, che ti scalda quel tanto che basta a farti decidere di tuo spontanea volontà  di calpestare quella brina che copre il verde-grigio dell’erba invernale, così che possa anche lei guardare il sole attraverso la nebbia.