Vengono dalla Nuova Zelanda i Popstrangers (Joel Flynger, Adam Page, David Larson) e col loro stile rumoroso ma pop sono riusciti ad attirare l’attenzione della prestigiosa etichetta Flying Nun, con cui hanno pubblicato un singolo nel 2012. Al momento di incidere l’esordio sulla lunga distanza invece hanno scelto di traslocare, accasandosi presso l’altrettanto nota Carpark Records (che già  ospita artisti di livello come Toro Y Moi, Cloud Nothings e Beach House) ben contenta di occuparsi della promozione e distribuzione americana di questo “Antipodes”.

Un album che va dal punk divertente, orecchiabile, pieno di chitarre grungy (“Full Fat”) allo shoegaze (“Occasion”) allo pseudo brit pop giocoso e ricco di wah wah (“Heaven”) e deve tanto alla scena inglese dei primi anni novanta, ai conterranei 3Ds, ma anche a band come Coffin Break e i primi The Chills. Registrato nel seminterrato di una sala da ballo anni trenta, “Antipodes” riesce a fondere influenze molto diverse tra loro senza abdicare a un’orecchiabilità  malandrina che ricorda gli exploit dei migliori Blur. “Jane” è tutta fuzz e distorsione noise ma nasconde un cuore dolce e pieno di armonie killer, le stesse che rivestono la cupa e urticante “In Some Ways” e l’intensa, ipnotica “What Else Could They Do”. Ma il cuore del terzetto kiwi batte anche a suon di garage fatto e finito, come dimostrano i vocals in overdose da vocoder che precedono l’incontenibile esplosione di rabbia di “Witches Hand”. Altrove la furia è trattenuta a stento e si trasforma nell’atmosfera dark e claustrofobica, traboccante di ansia, dominante in pezzi come “Roxy Brown”, “Cat’s Eyes” e “404”.

Tra dissonanze infernali e leggerezza estiva, la musica dei Popstrangers somiglia alla piscina ritratta in copertina. Tutto potrebbe sembrare pulito e carino visto da lontano e in fotografia, ma guardando più attentamente nulla è come appare. Le carte si rimescolano di continuo, come in quelle partite di poker talmente ingarbugliate che per conoscere il vincitore si deve aspettare la fine. Flynger e soci però hanno numerosi assi nella manica, e confezionano un esordio riuscito, ben calibrato. Ne sentiremo parlare ancora.