Voglio iniziare con una ovvietà , rimarcando qualora ce ne fosse ancora bisogno, che Lanegan ormai è un po’ ovunque. Tra dischi solisti, progetti paralleli e collaborazioni di vario tipo, la sua voce si presta, e bene, a moltissime soluzioni. Un po’ come il limone nella cucina, presente in piatti dolci, salati, come condimento o semplice retrogusto. Una voce che, se non universale, è universalmente riconosciuta come una delle migliori del panorama rock contemporaneo. Giocare con queste caratteristiche è facile, i rischi sono pochi e calcolati, le possibilità  di fallimento sono basse. A questo giro tocca a Duke Garwood, polistrumentista che con lui ha già  collaborato nel recente tour europeo.

“Black Pudding” è un disco scarno, fatto di suggestioni blues in chiave acustica e impreziosito dalla voce di Lanegan che regge il gioco per una buon 50%, mentre l’altra metà  è suggellata dalle pennellate a sei corde dell’acustica di Garwood, capace di descivere paesaggi desertici e allo stesso tempo algidi e minimali. Qualcosa di più dell’ennesimo sfizio del Nostro e qualcosa di meno di un gran disco, forse perchè il mestiere si prende una discreta fetta della torta, impedendo alle composizioni di trascinare con veemenza le emozioni dell’ascoltatore. Un buon disco di accompagnamento, magari per una notte in cui i fumi dell’alcool si sono fatti sentire, oppure per uno di quegli assolati pomeriggi estivi in cui il sole rovente sembra rimarcare il silenzio circostante.

Per chi era rimasto spaesato e poco convinto della svolta sintetica di “Blues Funeral” è l’occasione buona per riascoltare un Lanegan in un veste parzialmente inedita e sicuramente più vicina al sentire di chi ne aveva aprezzato la prima parte di carriera. Caldo ed avvolgente e allo stesso tempo comodo da “indossare”, “Black Pudding” è il disco giusto che non avevamo ancora capito di voler ascoltare.

Black Pudding

Genere: folk-blues, songwriting

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