Anni fa, se non ricordo male era il momento in cui la dubstep stava iniziando a contagiare anche le italiche lande, discutevo con un caro amico sulla durata dei vari fenomeni elettronici e sulla loro capacità  di sopravvivere al tempo: saltò fuori che lui non poteva neppure sentir nominare i Kraftwerk, unanimemente riconosciuti tra i padri fondatori della musica elettronica; eppure per lui erano invecchiati terribilmente male e le loro produzioni avevano pagato un prezzo troppo alto allo scorrere del tempo.
Recentemente invece parlavo con una collega di questo sito riguardo l’attualità  di certa musica, di come essa sia fruibile in un determinato periodo storico e di come, col passare degli anni, per quanto rimanga un ascolto piacevole spesso perda la forza che la caratterizzava, quella capacità  di descrivere i giorni in cui è uscita.
Questa seconda riflessione mi trova decisamente più d’accordo, anche se le eccezioni son talmente numerose che sospetto non esista neppure una regola; mentre nel primo caso non ero e non sono affatto convinto: tutt’ora sono molti gli album e gli artisti (Grimes e Daft Punk sono i primi a venirmi in mente) non soltanto debitori nei confronti dei quattro tedeschi.

Questa lunga introduzione per giungere infine all’oggetto di questa recensione: è uscito il nuovo disco di Karl Bartos, polistrumentista che ha militato nei Kraftwerk per ben quindici anni, fino all’addio nel 1990.
Già  al primo ascolto “Off the Record” mostra i segni del tempo: Karl propone, ancora una volta, la ricetta che ha fatto la fortuna dei Kraftwerk, specialmente negli anni ottanta: manca la visionarietà  e il gusto cosmico che contraddistinse la prima produzione, ma la classe e la maestria sono le stesse degli anni della grande fama.
Si parte con la massiccia “Atomium” e si giunge infine alle velleità  sperimentali di “Vox Humana” e “Rhythmus”; nel mezzo apocrifi Kraftwerk (“Nachtfahrt”), meraviglie di pop digitale (“International Velvet”, “The Tuning of the Word”), impennate electro (“Without a Trace of Emotion”), qualche caduta di stile (“Musica Ex Machina”) e tanta tanta monotonia.

Il ritorno di Karl Bartos si ricollega dunque alle riflessioni poste in apertura di articolo: anche se “Off the Records” è un album tutt’altro che brutto, realizzato con classe e competenza, questo synth-pop appare oramai fuori tempo massimo e dunque fortemente innocuo

Ascolto consigliato soltanto ai fan più intransigenti e anacronistici.