Un paio di mesi fa ho postato il trailer di “Only God Forgives”, aggiungendo solo nuovo Refn, nuovo “Drive”, same old Gosling, c’è la Thai-Boxe e tutto quello che sapevo del film, che a Bangkok police lieutenant and a gangster settle their differences in a Thai-boxing match. Diventata in quella occasione, mio malgrado, l’avvocato difensore del talento di Gosling (una carica a cui non ho mai aspirato), questo era quello che mi aspettavo: un altro “Drive”, con un solido Gosling che picchiava tutti e ci mostrava che i suoi muscoli erano solo l’armatura di un cuore che si piegava a nobili sentimenti. Cliff Martinez avrebbe fatto il resto della magia. Eppure ““ sebbene questo attore sia a oggi diventato un motivo per andare a vedere un film, poco da fare ““ la delusione è arrivata da entrambe le parti.

Per la prima volta ““ giuro ““ ho pensato che Gosling non fosse impenetrabile e misterioso, ma solo un po’ stupido e che Cliff Martinez non cambiava quasi le cose; ci fosse o no, io potevo ignorarlo.
Tutto sommato l’uomo che doveva essere gangster mi ricordava solo un Bambi indifeso, con una madre che però (Kirstin Scott Thomas ha fatto davvero un bel lavoro con il suo personaggio, concediamoglielo) lo spinge verso il cacciatore, ma se per tutto il film Gosling non dà  neanche un pugno e forse questo è quasi un pregio, quasi un difetto.
A Cliff Martinez l’appunto che si può fare è che la sua colonna sonora è solo una colonna sonora ““ d’atmosfera, nera e di perfetto accompagnamento per le immagini, ma che fare i compiti a casa stavolta non ha salvato nessuno da un giudizio che non riesce proprio a essere entusiastico.

Ci sono un paio di momenti che però sono da ricordare: il capo della polizia canta al karaoke e una volta la musica è sostituita dal lavoro di Martinez e un’altra c’è il thai-pop di “You are my dream”, una canzone dei Proud. è questo ““ a livello musicale ““ il pregio di “Only God forgives”, di mescolare Martinez al pop asiatico con eleganza, tingendo di nero (o di rosso, vedete voi) un genere un po’ stucchevole come quello che ascoltiamo nei ristoranti dell’estremo oriente: crea un immaginario perfetto, ma che resta su per pochi momenti, mentre per tutto il resto del film.
Refn confeziona un film esteticamente molto bello, con le sue monocromie e i silenzi, le riprese che scavano i corpi e una Bangkok davvero scura, ma c’è qualcosa che manca, per tutto il film ““ e un paio di volte ho provato più imbarazzo che altro: era tutto un po’ ridicolo e irreale e il sangue non significava proprio nulla. La violenza era più un vezzo che una fitta, come in “Stoker” di Park Chan-wook, una specie di lunga pubblicità  della Tods, ma disturbata dagli schizzi di sangue. Ogni tanto anche “Only God forgives” cede a un’estetica interessante, ma prescindibile, che ci ricorda solo quello che Refn, quello che Martinez sanno fare ““ e sanno fare insieme. Sarà  per il prossimo, speriamo.