Difficile parlar male dei Pet Shop Boys, il duo che ha fatto sobbalzare il mondo intero e che in molti, moltissimi volevano morti e sepolti sotto i ricordi di strass, paillettes e sculettamenti variegati, ma come tutte le mitologie momentaneamente appannate nella memoria tornano, risorgono in vita più vivi che mai e riprendono la cattedra della tecno-dance con sempre più prestigio e facoltà  di non vedere ancora chi saranno i successori di tanta scolarizzazione sintetica.

Neil Tennant e Chris Lowe dicono bye-bye alla Parlophone e lavorano in proprio in X2 ““ la loro personalissima casa discografica ““ e Electric è il frutto di questa “separazione” poco consensuale, nove tracce e nove vite come i gatti che il destino vuole sempre in cima ai dancefloor e in tutte quelle meticolose hit-charts sulle quali svetta il bardo scintillante delle notti pazze e fluorescenti che abdicano all’alba e non sempre; con la produzione di Stuart Prince ““ già  vecchio amico e collaboratore del duo inglese ““ il disco è responsabile di un’onda electro di notevoli nuances, tracce che evidenziano la dance più griffata in circolazione e che girano sullo stereo con la potenza “with a vengeance” (per dirla all’inglese) di un tornado, dilatata e visionaria.

Dentro c’è di tutto, strobo light, mirror ball, tutine argentate e parruccone argentate, Daft Punk, Moroder, Italdisco e sprint Kraftwerkiani che si rincorrono virtualmente come in un carosello da Studio 54, frullate dance, pizzicori nu-jazz e soprattutto provocazioni cool come in “Thursday” nella quale il rapper Example istrioneggia la song con i nome dei giorni della settimana o “The last to die” ripresa dall’album “Magic” di Springsteen, il resto che rimane ““ e non è poco ““ è la migliore prosopopea danzereccia che i PSB ci regalano di nuovo, dalle ventate di sinth “Fluorescent” alle funzioni robotic-funk di “Inside a dream”, passando per l’aria birichina e intima di ” Vocal”.
I detrattori li volevano morti e sepolti, sciocchi, non hanno fatto altro che allungarli la vita! Wow!