Le assenze creano aspettative e le aspettative possono creare delusioni. Succede nella vita, quando si ha tutto il tempo di modificare il ricordo di una persona a nostro piacimento, a tal punto che quando ci si incontra di nuovo il rischio forte è di restarci male. Di aver creato qualcosa che non esiste più e che forse non è mai esistita. Con i dischi la delusione parte da presupposti completamente diversi. Abbiamo gli album precedenti a ricordarci esattamente cosa una band rappresenti per le nostre vite. Una cosa tangibile di cui possiamo godere come e quando vogliamo. Tutto quello che riusciamo ad infilare di noi in un disco vorremmo che riaffiorasse identico al disco successivo. Quasi mai accade. Con i Girls In Hawaii già  non era accaduto col secondo lavoro, dopo quel “From Here To There” che aveva fatto strage di cuori col suo indiepop agrodolce e mai scontato, luminoso come le migliori primavere.

A maggior ragione non poteva accadere con “Everest”, disco che segue ed elabora il gravissimo lutto che ha colpito la band belga nel 2010, quando il batterista Denis Wielemans perse la vita in un incidente d’auto. Lontani dalla leggerezza pop degli esordi, pur conservando una coerenza stilistica riconoscibile, i Girls In Hawaii danno alle stampe un disco cupo, che mette le cose in chiaro sin dall’incipit di “Springs”, una morbida e triste ballata acustica. Un ascolto disattento potrebbe inquadrare il lavoro come un banale disco di canzoni orecchiabili, tra l’acustico e il (synth)etico, non troppo incisive. Se si scava più a fondo viene a galla in maniera tangibile il dolore patito per la grave perdita, seppur mascherato da arrangiamenti non troppo equilibrati che spesso eccedono con le partiture sintetiche sin troppo preponderanti in alcuni passaggi.

“Everest” è un disco riuscito solo in parte, probabilmente necessario a far uscire alcune urgenze emotive, un disco istintivo e per questo largamente imperfetto. Non ce la sentiamo di imputare alcunchè alla band belga, bisogna accettare questo passaggio obbligato del loro percorso, doloroso e sfocato, proprio come quando non si è ancora usciti da un tunnel di buio profondo. Non sappiamo se mai vedranno una nuova luce, ci restano in mano undici brani di buona fattura, non proprio indimenticabili, ma che allo stesso tempo ci ricordano che non sempre è facile esprimere in musica una parte di noi stessi che ancora grida dolore.

Everest
[ Naive – 2013 ]
Genere: pop
Rating:
1. The Spring
2. Misses
3. We Are The Living
4. Changes
5. Switzerland
6. Here I Belong
7. Not Dead
8. Mallory’s Height
9. Head On
10. Rorscharch
11. Wars