Ci sono cose che si fanno perchè si vuole e altre perchè si deve. Quattordici anni fa, con “I’ll take care of you”, Mark Lanegan pagò il suo debito di sangue con quegli autori e quella tradizione che lo avevano cresciuto fino a farne una delle più grandi voci d’America. Oggi, dopo aver raggiunto picchi altissimi di ispirazione compositiva e imboccato la parabola discendente (per quanto sempre di spessore), l’ex Screaming Trees reinterpreta i brani che gli piacciono. Il cuore non sanguina più ma di classe ce n’è in abbondanza.

“Imitations” è l’ottavo album della carriera solista di Lanegan, che ultimamente si era prestato ad una serie di collaborazioni il più delle volte prescindibili, e mescola brani di artisti vicini al nostro come Nick Cave e Greg Dulli a quelli ben più sorprendenti di Andy Williams e Sinatra (Frank ma pure Nancy). Per non parlare della perla iniziale: quella “Flatlands” di Chelsea Wolfe, una delle artiste più interessanti degli ultimi anni.

Tutto giusto, tutto bello, di una bellezza inevitabile ma caduca: la voce di Mark la conosciamo e la amiamo (ancor più da quando ha deciso di evitare la deriva waitsiana), gli autori sono dei fuoriclasse, in più i pezzi godono di una celebrità  medio-alta. Certo si poteva rischiare il disco-mattone,  o la lesa maestà . Invece si rimane in una media riverenza, se non proprio nella riproposizione del brano. A Lanegan piace togliere, mostrando il nucleo dei pezzi che canta, ma noi ci eravamo abituati a vederne le viscere e per questo non si può nascondere una certa delusione. Disco piacevole, che però non rimane nel cuore. Sono lontani i tempi di “Field Songs”, ma lo sapevamo già .