Emidio Clementi era un cantore della crisi prima ancora che la crisi si trasformasse in moda e mutasse in pelle, era mormorio insolito del sentimento stuprato e parabola fulminea in perenne dimostrazione quando a tutti veniva richiesto guizzo, abilità , arrampicate sociali. Era un io narrante prima ancora che di relater in musica si potesse parlare. Emidio è un bravo scrittore, l’ha dimostrato ampiamente negli anni unendo classe e umiltà  d’animo, ed è un bravo cantante, anche se il suo darsi per note stazionarie può far sorgere dei dubbi diciamo pure accademici. In effetti il suo “dire” che , intendiamcoci, non è altro che agire da tempo immemore, è un canto tipico, ciò che di meglio si potrebbe associare ad un’anima girata di 180 gradi, con un occhio rivolto al passato e la punta del naso intirizzita verso il venturo. Però poi il Clementi di cui ci si occupa, chiamiamolo pure musicale, non sarebbe effettivamente molto senza la ruvida ipertrofia dei Massimo Volume ed è bello che questo progetto, tra i più grintosi ed emozionanti degli ultimi 25 anni, abbia ancora da dire la sua, abbia da darci strada su ciò che sciama nelle invidie e nelle irriverenze.

Avevo in parte accolto la naturalezza di “Cattive Abitudini” che solo tre anni fa sanciva un bel ritorno sulle scene, l’esame di una bella compagnia riunita dopo qualche anno di stop deciso, programmato, debitamente voluto. “Cattive abitudini” non mi entusiasmò perchè dalla cerchia del passato che voleva emergere diverso o quantomeno rimescolato, svaporava un senso di tormento a cui i MV rispondevano con le armi di “Lungo i bordi”, senza però quella grinta astrale che si era delineata nel sophomore. Tuttavia, se tre anni bastano per crescere ancora una volta come collettivo, allora sono stati sicuramente tre anni di spendide escursioni: 10 brani di inusitata bellezza che fanno a pugni per arrivare tutte prime al traguardo.

“Vic Chesnutt” è un tritatutto dove minimalismo noise e rughe di suono abrasivo spalleggiano la claustrofobia di “Dymaxion” song che volteggia su stratosfere di pareti convesse. “Compound” brilla di un nerofumo peninsulare dove aleggia una paura che sospende le frasi quasi affastellate e leggere di Emidio dietro il parapetto ritmico roboante di Vittoria Burattini; le vestigie di Pilia e le cure di Sommacal, rasenti al suolo o al viso come sempre, avvitate su una cartuccia di note spurie assestano un colpo d’arma da fuoco sulla schiettezza di testo come la storia in background music di “Silvia Camagni”. Ed è ancora Emidio a puntellare le avanguardie del suo pensiero: la destrutturazione del passato di “Dio Delle Zecche”, la gestazione delle pretese e del presente funesto che rigonfia in La cena, l’interegno bruno della title track e chi più ne ha più ne metta. I Massimo volume non hanno mai raccontato di quanto sono belli i fiori al mattino, perchè i fiori disegnati su stralci di tele nere possedevano nel proprio intimo un colore naturale, denso e purpureo.

Siamo al numero sei, ma ce ne saranno altri di numeri che il quartetto in futuro assesterà , con garbo e virulenza, con quel timbro assodato dove il rumore non ha più contorni ben definiti e la chiamata delle sirene è un silenzio apocalittico. “Aspettando i barbari” dimostra, fra le altezze delle sfere d’ombra più magiche, di essere un lavoro superbo, dalla fibra costante e dalla dinamicità  delle controparti in perenne movimento.

1. Dio Delle Zecche
2. La Cena
3. Aspettando I Barbari
4. Vic Chesnutt
5. Dymaxion Song
6. La Notte
7. Compound
8. Silvia Camagni
9. Il Nemico Avanza
10. Da Dove Sono Stato