Giunti al quarto disco studio, i Future Islands, band americana di Baltimora, legittimano il loro stile synthpop, sfornando 10 brani elettro-wave come Dio comanda. Basso alla New Order, synth alla Depeche Mode e quale scelta migliore se non le linee progressive, industriali e futuristiche che abbiamo amato della band di Dave Gahan e soci. Il disco presenta all’apertura un singolone di quelli che ti porti dietro per tutta l’estate. “Seasons (Waiting for You)” è la canzone che arriverà  nei posti di mare ed è qui che farà  la differenza in mezzo a tutta la roba indefinita e inqualificabile che uscirà  nei mesi a venire. Questo mette in risalto il taglio mainstream che i Future Islands hanno dato al disco. Ma il mainstream è solo un aspetto tracciato dalla band. Infatti continuando sulla scia del precedente lavoro “On the Water”, il trio del Maryland parte dalla struttura dance che domina l’idea di ogni pezzo per inserire contaminazioni sonore che danno all’insieme un maggiore impatto e una affermazione più intensa. Il chitarrone di “Back in The Tall Grass” e il cantato in stile Matt Berninger di Samuel T. Herring rappresentano uno dei momenti migliori del disco con Herring che è un autentico prestigiatore di timbri e intuizioni canore, vero e proprio personale marchio di fabbrica. Molto sinthpop anni ’80 ma anche tanta wave anni ’00 con influenze Tv on The Radio “A Song for Our Grandfathers”, Arcade Fire “Like The Moon”. Insomma di materiale non ne manca.

Il filo conduttore di tutto “Singles” è sicuramente la malinconia, la percezione di qualcosa che non c’è più come nella Bowieana “Light House” che potrebbe stare benissimo nelle corde e nei pensieri dell’ormai caduto Ziggy Stardust. Oppure quel sound new-wave, che ancor’oggi rappresenta il punto di partenza per molte band pazze per il synth, dettato ai tempi da Echo and The Bunnymen, Talk Talk, Psychedelic Furs, Kraftwerk, “A Fall From Grace” uno dei pezzi più riusciti (persino lo scream presente a fine ritornello). Il disco si chiude con una synth-ballad “A Dream of You and Me”un po’ come a chiedere un discorso aperto con “Seasons”.
I due pezzi sembrano l’uno il fratello dell’altro. Ottimo modo per chiuedere un disco con il basso martellante e il piede che senza il tuo volere porta il beat cassa-rullante. Missione compiuta.