E’ vero si fa ancora fatica ad accettare la pausa a tempo indeterminato che i The Walkmen hanno annunciato un annetto fa. “Lisbon” e “Heaven” avevano legittimato lo stile, il sound, la voce ammaliatrice di Hamilton Leithauser, della band newyorkese. Livelli alti raggiunti, successo di pubblico e canzoni indimenticabili e poi la notizia che ha sconvolto i fans. Non è facile convivere con decisioni del genere. Come se non bastasse pochi mesi fa arrivava la notizia di lavori solisti di Leithauser e del polistrumentista cugino Walter Martin.

Chiamiamola come vogliamo, voglia di cambiare, esigenze personali da soddisfare, momento di distacco dalla band, ciò non toglie che i The Walkmen rappresentavano un successo di band. Quindi è più che naturale pensare con uno sguardo un pò pessimista sulla riuscita o meno di queste singole uscite. E allora succede che ti accorgi che il talento e la bravura escono fuori anche in situazioni del genere. Il disco di Martin “We’re all young Togheter” è un disco bellissimo che non ha niente a che vedere con la band, però almeno con il suo folk ti dimentichi che la band è in pausa.

E poi mentre pensi a tutto questo parte “5 A.M.” primo brano di “Black Hours”, l’attesissimo disco di Hamilton Leithauser. Un piano, la sua voce intensa, acuta ma profonda. Un pezzo di un tristezza unica ma al tempo stesso di un’ eleganza d’altri tempi. La voce di Leithauser è in forma più che mai, però appare stanca, appannata. Ma l’idea di un naturale seguito dei The Walkmen è vivo più che mai. La conferma con “The Silent Orchestra” e “Alexandra” che rimanda nell’idea ad “Angela surf city” brano di “Lisbon”, co-scritto con un altro signorotto super in forma, un certo Rostam Batmanglij direttamente dai Vampire Weekend. Con ritmo arriviamo al primo singolo pubblicato “11 o’clock friday night”e insieme ad Hamilton in bicicletta respiriamo il mondo e tutto quello che ci circonda. L’impressione avuta ad inizio disco riguardo la stanchezza, la spossatezza artistica svanisce, Leithauser è in forma più che mai, certo la voce è più educata, ma così rende ancora di più. Sfumature diverse, più mature, si respirano nella bellissima ballad stile Rufus Wainwright “St Mary County”. E poi il pezzo che non ti aspetti “Self Pity” forse la migliore in assoluto di un disco che non smette di meravigliare. E’ tempo di doo-wop nell’altro singolo “I Retired”, non dimentichiamoci i Beatles (“Revolution”) e la passione per la musica anni ’50 (Sul sito si trova una simpatica playlist con in brani che hanno influenzato “Black Hours”).

Basta ascoltare “I don’t need anyone” per sintonizzarsi sulle frequenze Walkmen, ottimo per scegliere un riempitivo da inserire in scaletta, così come i due pezzi di chiusura che suggellano una scelta rischiosa quella dell’album solista ma che alla fine non ha deluso, tutt’altro.

Non mi soffermerò sul fatto che i The Walkmen sono tutt’altra cosa (l’ho detto, aarghh), sarà  inevitabile lo schieramento con pro e contro. Nel frattempo posso solo dire che “Black Hours” è un disco intenso.
I due cugini seppur da due sponde diverse ci hanno permesso di apprezzare un mare elegante, folkeggiante, a tratti elegiaco e sempre piacevole.