Abbiamo dovuto attendere la bellezza di tre anni, ma il recente 20 Maggio finalmente Yann Tiersen è tornato alla ribalta con il suo ultimo album, “Infinity”, con non poche sorprese al seguito. Partiamo con il dire che questo lavoro è stato registrato ed interamente composto nella quanto mai algida, immobile, bellezza della terra Islandese. Una tela bianca dalla quale ripartire con nuove prospettive, perchè questa è forse, la più complessa opera del compositore Bretone e forse, non tutti sulle prime accetteranno le grandi differenze di questa sfida con i suoi lavori precedenti il cui sound accenna, sfiora per caso, ma che non riprende quasi mai e ai quali bene o male eravamo tutti abituati. Ed invece siamo ben lontani dagli armonici brani nella fattispecie per pianoforte e fisarmonica, dei suoi primi album, da quei valzer senza tempo con quel profumo parigino sempre così forte ed intenso, il ritmo calzante e ad ogni modo, malinconico: “Infinity” è l’opera della maturità  di Tiersen, opera di uno studio complesso e lungo, è un’esplorazione continua verso l’Io, dal buio nel profondo, alla luce nel colore.

Fin dal primo brano, “∞” (infinito), si ha infatti la sensazione che ci si stia con forza trasferendo dal “Meraviglioso mondo di Amèlie”, al meraviglioso mondo di Yann e che si stia per ripercorrere, in un certo senso la sua vita, così descritta. Questo brano, primo della scaletta, rappresenta un po’ la nascita o rinascita, sommesso e silenzioso, apre con deciso monito le porte all’intero album. Si passa subito ad una bellissima “Slippery Stones”, con quel suo trascinarsi struggente in una pioggia che cade ed accompagna tutto il brano, un carillon d’infanzia e una voce profonda alla “Aidan Moffat” che è un crescendo e che ci descrive senza volerlo quel passaggio dall’essere bambini (quella naturale infantilità  di fondo che ripercorre tutti i suoi album precedenti viene qui nuovamente toccata anche se, come breve accenno, per non dimenticare mai le proprie origini) all’essere adulti fino a raggiungere, con vortici di suoni in un post-rock elettronico, un po’ indie,un po’ folk, la successiva “Midsummer Evening”, tripudio di bellezza ed armonia, singolo d’esordio dell’album, che viaggia in una dimensione parallela alla nostra realtà  e ci fa volare alto in quel pomeriggio di mezza estate dove un cielo rosso sangue lascia attoniti gli spettatori, che non riescono però a smettere di sperare poichè l’amore, nonostante tutto, può ancora sopravvivere.

Campanelli, violini, archi e percussioni studiate a pennello, fanno invece da turbolento sfondo alla cantante dalla suadente voce di “Ar Maen Bihan” e in questo pezzo, iniziano ad accentuarsi i ritmi ossessivi che troveremo ancora in “Lights” e che strideranno magnificamente nel loro acuirsi, con i successivi cori angelici. Direttamente dal remoto arcipelago delle isole Fà…r à’er “Grønjørà°” invece, ritorna ad incantare come “Midsummer Evening”, lasciandoci estasiati. Tra le tonalità  malinconiche dei Tycho e dei più famosi Mogwai viaggia invece la ricercata ed introversa Steinn. Prosegue sulla stessa scia “In our Mind” e qui Tiersen tiene duro in un campo in cui sperimenta anche se non gli appartiene ancora del tutto, quello dell’elettronica, aggiungendoci un già  più sperimentato e navigato jazz, anche se quasi chiudendo gli occhi, non sembra più di star ascoltando lo stesso che ci incantò con “Rue de Cascades” e con l'”Absente”. “The Crossing”, corre quasi paradossalmente, in maniera delicata sul filo dello stile psichedelico e resta in equilibrio sull’onda electro-rock così come per i Blackbird Blackbird o i Tame Impala, ma l’azzardo, con tanto di finale classico violoncello, gli riesce veramente bene: tesa, intensa ed ipnotica fino alla fine. Ed arriviamo così all’ultima traccia, “Meteorites”, e qui, come avevo preannunciato, il cerchio si chiude, la maturità  è stata raggiunta così come l’apice dell’eclettismo e della poliedricità  di quest’album. Una voce recita, come fosse una poesia, come fosse una preghiera, una romantica ballad con l’incanto dell’accompagnamento di una voce quasi sovrumana e il ritorno, ai giochi dei bambini, per una storia infinita come quella di una vita a pieno, vissuta. Ancora una volta Tiersen è convincente e ci ammalia, ancora una volta, riesce ad emergere dall’etichetta di essere solo ed esclusivamente per tutti “il compositore del film di Amèlie”, perchè prima di ogni altra cosa è un talento completo. Forse non il suo album migliore, ma decisamente un lavoro ben riuscito. Se in questo campo sperimentale, Tiersen cammina ancora incerto, siamo sicuri che è sulla strada giusta.

Credit Foto: Natalie Curtis