Come si fa a scrivere il blues? si chiedeva Joe Henry, uno che la chitarra l’ha incontrata da giovane e mai più lasciata, in un saggio scritto qualche tempo fa per il magazine “Response”. E si rispondeva da solo: Semplicemente aprendo la bocca anche se sai perfettamente che un giorno non potrai più farlo “… Semplicemente intonando la parola per sempre (“…) anche se sai fin troppo bene che non esiste una cosa del genere.

Ecco nelle canzoni di “Invisible Hour”, tredicesimo album di una carriera da musicista spesso messa in ombra dal suo premiato lavoro come produttore (per Bonnie Raitt, Meshell Ndegeocello, Billy Bragg, Ramblin’ Jack Elliot, Loudon Wainwright III, Solomon Burke e Ani Di Franco tra gli altri) Joe Henry prova a farci i conti con quel per sempre irraggiungibile. Lo fa parlando di amore, di matrimonio, di complicati rapporti a lungo termine, della lontananza che unisce e divide (soprattutto quando c’è qualche oceano di mezzo vedi “Water Between Us”) di momenti che sembrano eterni e invece passano fin troppo in fretta.

Lo fa mischiando folk, blues, country, un pizzico di roots rock e jazz (genere con cui ha flirtato anche in passato). Seguendo una privatissima bussola dei sentimenti che punta sempre verso nord. Senza nascondersi nè nascondere nulla, con onestà . E allora non è difficile immedesimarsi nelle sue canzoni, nelle storie che racconta. Immaginare Mr. Joe Henry mentre compone “Every Sorrow”, “Grave Angels” e “Alice” (eccolo, il blues che ritorna) in una solitaria stanza d’albergo con tanti chilometri sulle spalle e migliaia ancora da fare, mentre ha nostalgia di casa e trova rifugio in libri e racconti (forse proprio quel “Train” di Alice Munro a cui “Alice” è dedicata). Ascoltare “Sparrow” e “Swayed” e pensare che potrebbero essere perfette ninne nanne da cantare a un figlio se le ninne nanne servissero ad aprire gli occhi, non a far addormentare.

“Invisible Hour” è un raffinato disco che profuma d’Irlanda, fatto da un signore nato in North Carolina. Un disco senza tempo, d’altri tempi, deliziosamente fuori tempo. Registrato come si faceva una volta, con cura maniacale e qualche amico e familiare (Lisa Hannigan, Levon Henry al clarinetto, lo scrittore Colum McCann coautore del testo della title track) a dare una mano. Un album dal sangue caldo, analogico nei fatti ma anche nel cuore e nell’anima, pieno di affermazioni sussurrate ma non per questo meno forti o incisive. I give up my ghost for thee and we will forever slide canta Joe in “Slide”, per chiudere i giochi. E non potrebbe esserci conclusione migliore.

Cover Album

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Invisible Hour
[ earMUSIC – 2014]
Genere: folk, songwriting
Rating:
1. Sparrow
2. Grave Angels
3. Sign
4. Invisible Hour
5. Swayed
6. Plainspeak
7. Lead Me On
8. Alice
9. Every Sorrow
10. Water Between Us
11. Slide