Sempre in bilico tra la passione per i suoni del dancefloor e un innegabile istinto pop, alla creatura di Andy Butler è però spesso mancata la capacità  di realizzare un album davvero indimenticabile: se i singoli (a partire da quella “Blind” che, con l’ottima partecipazione di Antony, anticipava l’esordio datato 2008) si distinguono per la perfetta combinazione di grinta dance e memorabile orecchiabilità , la stessa alchimia non sempre viene raggiunta su disco. Era palese riguardo il primo disco, mentre con “Blue Songs” si cercava maggior equilibrio, complice anche la sempre più abbondante vena house.

Gli anni ’80 son sempre stati fonte d’ispirazione per Hercules, specialmente quel periodo, tutto newyorkese, che assistette alla trasformazione della musica da ballo, dalla disco verso quella che diventerà  poi la house; nel percorso finora compiuto è quasi possibile rintracciare una mappatura di quegli anni: se l’esordio era ancora un disco ampiamente strumentale, il secondo mostrava un mood più malinconico, quasi a sottolineare la fine di un’epoca. Ed infatti il nuovo “The Feast of Broken Heart” è ancora una volta un lavoro diverso, ma non spiazzante: piuttosto il giusto tassello di una discografia capace di essere insieme filologica e personale. Nei quarantacinque minuti scarsi dell’opera è tutto un susseguirsi di irresistibili tracce house, genere che è oramai completamente protagonista di questa attuale incarnazione di Hercules & Love Affair.

Non mancano ovviamente i preziosi featuring che da sempre sono marchio di fabbrica: dopo Antony e Kele Okereke è questa volta il vocione baritonale di John Grant ad arricchire lo splendido singolo romantico e cinematico “I Try to Talk to You” e una “Liberty” in precario equilibrio tra chic e trash, ma sono soprattutto le vocalist femminili a regalare le perle maggiori con Krystle Warren nei momenti più massicci (una “My Offence” che è insieme rilettura eighties e omaggio all’electroclash degli anni zero e una “The Light” indecisa tra Detroit e lo spazio) e Rouge Mary in quelli più funky.

Per chiudere pare giusto tornare al discorso di apertura: se è vero che finora ai dischi di Hercules & Love Affair mancava qualcosa per essere davvero indimenticabili, con questo “The Feast of Broken Heart” si fanno decisi passi avanti verso la perfezione, merito anche di un disegno che contempla i capitoli precedenti.