Guardi le foto dei Field Mouse (al secolo Andrew Futral chitarra, la frontwoman Rachel Browne, la bassista Saysha Heinzman, il batterista Tim McCoy) e ti sembrano dei gran duri. “Badass” dicono gli inglesi. Poi, leggendo le interviste, scopri che in realtà  sono dei mattacchioni che starebbero lì ore a filosofeggiare sui benefici dello spuntino di mezzanotte (Snacking is a way of eating that combines sloth, avarice, and gluttony into a beautiful symphony ha avuto il coraggio di dire Andrew Futral, un po’ scherzando un po’ no, intervistato da Nosey).

Mattacchioni lo saranno anche nella vita di tutti i giorni, ma questi quattro ragazzi di Brooklyn (anche se qualcuno di loro ha deciso di traslocare a Philadelphia) fanno della gran bella musica che mette insieme shoegaze, un pizzico di noise e l’energia del rock vero. Quando Rachel Browne inizia a cantare lo fa con decisione ma senza i mille manierismi da star di alcune colleghe. Somiglia un po’ a un’altra Rachel, che di cognome fa Goswell e ha appena ricominciato a divertirsi con i redivivi Slowdive (a proposito, ben tornati). E pezzi come “Tomorrow Is Yesterday”, “Happy”(non quella di Pharrell), “Two Ships” e “Bright Lights” ricordano proprio le atmosfere, le texture intricate degli Slowdive intensi di “Souvlaki” e quelli più armonici di “Just For A Day”, gran bei ricordi. I Field Mouse però non sono revivalisti nè nostalgici: il passato altrui se lo tengono stretto ma non certo per metterlo in una vetrinetta da museo. Ci giocano con passione, cambiando pelle e destreggiandosi tra note dark (“Asteroid”) e grintose (“Everyone But You”). Orecchiabili sempre, quando tirano fuori la loro anima più indie (“Netsuke”, “Kids”) e anche mentre lanciano le chitarre a tutto feedback in “Reina” e “Water In The Valley”. Non ci riescono in molti, non così bene almeno.

It’s just pure noise for the hell of it ha detto qualche anno fa Kevin Shields, descrivendo la musica dei suoi My Bloody Valentine (una delle band che, insieme alle Velocity Girls, Lush e a buona parte dello shoegaze anni novanta viene immancabilmente citata parlando di Rachel Browne e soci). I Field Mouse sono rumore cristallino, a volte dolce a volte arrabbiato, aggraziato quanto basta ma mai lezioso. E anche quando staccano la spina, nel senso letterale del termine viste le numerose versioni unplugged contenute nel disco, dimostrano di sapersela cavare egregiamente. Una gran bella sinfonia davvero, not for the hell of it but with a reason.