Jack White è un mago della musica: qualsiasi etichetta si voglia affibbiare all’artista statunitense risulterebbe legittima; nessuno infatti riesce a padroneggiare al meglio tutti gli elementi delle sue pozioni musicali. Blues, soul, rock,country, suoni gotici, la sua ricerca sonora è estro, originalità , poliedrismo allo stato puro ed i suoi molteplici progetti, White Stripes, Raconteurs, Dead Weather, ne testimoniano il valore di un’artista, cantante e polistrumentista tra i più interessanti e produttivi dell’ultimo decennio.

“Lazaretto”, il suo secondo album da solista, registrato nello studio dell’etichetta fondata da White, la Third Man Records/XL, fonde allora con liberissimo talento musicale tutti gli strumenti possibili, le collaborazioni più interessanti, gli arrangiamenti più fantasiosi, intrecciando un’anima musicale eclettica e deliziosa. Un disco unico ma accessibile a tutti, veloce e ritmato, fluido e contrastante nella sua tracklist, dove il mondo del rock ed il mondo del blues si riflettono a specchio, stile e vena creativa si confondono, e in una esaltazione della potenza del talento musicale del ragazzo di Detroit, il palato musicale degli ascoltatori si esalta in un album capolavoro.

Dall’impetuoso blues iniziale di “Three Blues Women”, al riff distorto, duro e muscolare ed inconfondibile della title track “Lazaretto”, al vellutato intro tutto violino e chitarra acustica, “Temporary Ground”, passando per il rock diretto, indiavolato nudo e crudo di “Just One Drink” fino ad arrivare alle validissime “Entitlement” ““ folk ballad dai suoni pacati e ricercati ““ “Alone in my Home”, folk – song frizzante ed energica, saltando poi allo psichedelico rock-blues dal suono noise e fuzzato nella strumentale “High Ball Stepper”, White è un meraviglioso e stralunato direttore d’orchestra che con voce dolce e suadente è capace di tenere in piedi da solo l’intero disco. Nota di merito per “Would You fight for my love”, brano favoloso arricchito da cori, sbuffi di tastiere, zaffate quasi post-punk qua e là  e “I Think I Found the culprit” perla veloce e potente, ripetitiva e bellissima, variegata nella sua struttura che passa forte a piano con disarmante naturalezza.

Chapeau Jack, il genio esiste e proviene da Detroit.

Credit Foto: David James Swanson