In un futuro non molto lontano dal nostro, un’epidemia ha colpito duramente le riserve di cibo presenti sul pianeta e poche generazioni ancora potranno sopravvivere sulla terre.
In tutto questo il nostro protagonista, Cooper, è un ex pilota, ora agricoltore, che in seguito ad alcune coincidenze dovute a modificazioni dei campi gravitazionali si ritrova in una sede segreta della Nasa, dove verrà  ingaggiato per pilotare la navicella spaziale che cercherà  un nuovo pianeta su cui trasferire il genere umano.
Ma il nuovo corpo celeste non potrà  essere uno tra quelli presenti nel nostro sistema solare e così la spedizione di Cooper dovrà  attraversare un buco nero e affrontare un viaggio interstellare in una galassia totalmente ignota.

Il viaggio nella fantascienza di Christopher Nolan non poteva che essere un film dalla forma grandiosa che prova ad affrontare ad armi pari i padri fondatori del genere.
Ma per duellare nello stesso campo di questi signori bisognava forse avere una corazza ancora migliore di quella che il regista di Memento fa indossare al suo film.
L’impressione che si ha dopo la prima visione di Interstellar è di aver visto un lungometraggio visivamente bellissimo a cui manca una certa concretezza narrativa e che eccede nel facile sentimentalismo.
Nolan infatti pare meno interessato a sviluppare durante tutto l’arco del film un comparto visivo che sarebbe potuto essere ancor più maestoso di quanto effettivamente già  non sia, per raccontare una storia a forti tinte sentimentali che eccede in verbosità  e non concede interpretazioni allo spettatore se non quella del suo creatore; un tipo di cinema forse troppo didascalico per entrare nel giro dei capolavori, un ambizione non dichiarata ma fin troppo palesata.
Nella girandola emozionale di Interstellar spicca sicuramente l’importanza che il regista vuole dare ai rapporti e alle loro evoluzioni, poco importa se essi siano tra colleghi, macchine, o figli, l’importante è far capire come dei legami sinceri ed emotivamente forti possano trascendere spazio e tempo.
La relazione padre-figlia è il vero motore narrativo della vicenda, una tematica cara al regista (“Prestige” e “Inception” sono altri due film dove tale rapporto è presente, Cobb e Borden corrono tutti rischi del caso solo per i loro figli) a cui finalmente viene donato il giusto spazio e che rappresenta i picchi emotivi della pellicola.
Funziona completamente questa struttura senza risultare mielosa? Per buona parte si, alla lunga stanca e ciò indebolisce parecchio le ambizioni di un film che vuole essere maestoso in tutto e per tutto, ma che con il passare dei minuti accusa tutto il suo peso.

L’eccesso di sentimentalismo grava anche sulle interpreazioni dei protagonisti che spesso sembrano frenati da un controllore che sta dietro la macchina da presa.
Proprio il regista britannico infatti più volte nella sua filmografia ha lasciato un’impressione di voler controllare tutto quello che passa sul suo set, cosa assolutamente legittima e necessaria, ma che in campo recitativo può risultare penalizzante.
A controbilanciare la scarsa emotività  delle prestazioni attoriali troviamo però un Hans Zimmer mai così in forma che decide di abbandonare finalmente la sua amata cassa e la composizione tutta bassi per privilegiare una soundtrack molto omogena e suggestiva che nei momenti più epici dà  il meglio di sè (“Day One Dark”, ad esempio, è veramente emozionante).
E se vogliamo continuare negli elogi c’è da dire che l’esperienza narrativa basata sulla discrasia temporale (altra caratteristica tipica di Nolan) è molto efficace e soprattutto non mancano durante l’arco della pellicola le scene imponenti che hanno la tipica impronta visiva del regista e che sicuramente rimarranno impresse nell’immaginario collettivo: dalle rappresentazioni di alcuni pianeti e dei wormhole fino all’impressionante sequenza dell’attraversamento del buco nero, è qui che Interstellar fa vedere i muscoli e mostra tutto il suo grandeur ed è anche qui che lo spettatore perplesso riprende vigore.

Evidenti e massicci i rimandi alla grande ossessione di Nolan, quel “2001: Odissea nello Spazio” che ha influenzato il cineasta britannico più di qualsiasi altro film e che forse ha impedito una chiusura anticipata al film per evitare paragoni ancor più scomodi.
Ma così come sono palesi gli omaggi è altrettanto chiaro come il nostro regista non consideri allo stesso modo di Kubrick la tecnologia attribuendole un ruolo significativo, anche esteticamente (vi dice niente il fatto che i robot del film siano una sorta di monolite nero?), e per nulla banale.
Ma la differenza clamorosa trai due film (e tra i due registi) sta soprattutto nelle domande che il film restituisce, perchè dove Kubrick poneva interrogativi altissimi e lasciava intuire allo spettatore tutto il resto, Nolan vuole invece dare le risposte riducendo il suo film e le sue aspirazioni a qualcosa di sicuramente più scolastico.
Al netto di lungaggini, errori e tutti i difetti che si possono trovare, “Interstellar” rimane comunque un’esperienza visiva importante e suggestiva che forse non lascerà  un marchio indelebile nel genere, ma che rappresenta nel bene e nel male Christopher Nolan in tutta la sua smodata ambizione.