Gli And You Will Know Us By The Trail Of Dead sono una band curiosa e ambiziosa. Viaggiatori instancabili, sembrano sempre voler racchiudere il mondo intero all’interno dei loro album. E non solo quello terrestre, che comunque qui esplorano in lungo e in largo spingendosi dalle vaste pianure del Texas fino alle strade affollate di Phnom Penh raccontate nell’ottima “Sound Of The Silk”. “IX” non si chiama così semplicemente perchè è il loro nono album, ma in omaggio al nono pianeta del sistema solare immaginato da Frank Herbert in “Dune” (posticino niente male: cupo e freddo, assolutamente inospitale).

Solo il primo di una serie di riferimenti incrociati con cui i Trail Of Dead si divertono a sfidare i loro ascoltatori. In questo “IX” tornano a flirtare con la filosofia in “Lie Without A Liar” (dopo il Tao di “Tao Of The Dead” stavolta tocca a Freud), con la letteratura in “Like Summer Tempests Came His Tears” (chiamata come il capitolo undici di “Il Vento Tra I Salici” di Kenneth Grahame, visto che il numero sette l’avevano già  usato i Pink Floyd) dimostrando ancora una volta di essere non solo cavalieri neri ma esseri umani alla frenetica (e disperata) ricerca di fonti d’ispirazione vecchie e nuove.

Ma veniamo alla musica. Questi non sono i Trail Of Dead caustici e rumorosi, ma quelli più prog e riflessivi. “IX” ha un’uniformità  e una compattezza di suono tutta particolare. Forse dipende dal fatto che inizialmente questo album numero nove l’avevano pensato come un disco tutto strumentale (idea a cui non hanno comunque rinunciato, anzi potrebbero farlo nel prossimo futuro). Tecnicamente i Trail Of Dead sono una garanzia e lo dimostrano costruendo trame complicate ed eccentriche (vedi “How to Avoid Huge Ships”). Ma riescono anche a scrivere canzoni accessibili come poche volte gli è capitato in passato: “The Dragonfly Queen” col suo tocco orchestrale e il crescendo magistrale di “Bus Lines” (insieme a “The Ghost Within” un po’ un bignami di quello che i Trail Of Dead sono diventati oggi). Per chi invece li ama in versione più uptempo, ci sono l’epica “Lost In the Grand Scheme” e “A Million Random Digits” pronte all’uso.

Se il disco precedente, “Lost Songs”, era un ritorno alle loro radici punk, “IX” potrebbe essere una sorta di “Worlds Apart” parte seconda (anche le copertine si assomigliano molto). E il sequel stavolta è migliore dell’originale. Gli anni passano e Trail Of Death restano una macchina da guerra pronta a colpire senza preavviso, quando e come scelgono di farlo. Con “IX” scrivono un altro capitolo di una lunga storia e ripartono per un nuovo viaggio. Chissà  dove ci condurranno la prossima volta.