I The Voyeurs quando ancora si chiamavano Charlie Boyer & The Voyeurs, appena dodici mesi fa, sono stati osannati dall’NME come gli ennesimi salvatori della patria britannica e il loro disco d’esordio, “Clarietta”, definito uno dei più interessanti del 2013. Un anno dopo, Charlie Boyer è vivo e vegeto e ancora in possesso delle sue ragguardevoli doti di frontman e i neobattezzati The Voyeurs tornano a far danni con “Rhubarb Rhubarb” (saranno in Italia a dicembre come spalla dei The Horrors, che insieme ai Toy sono un po’ i loro fratelli maggiori).

Un album pericoloso questo, non solo perchè è il secondo e tutti li aspettano al varco per stroncarli senza pietà , ma anche per il titolo che questi cinque buontemponi hanno scelto. “Rhubarb Rhubarb” è un’espressione usata da anni in teatro dagli attori, per simulare un mormorio lontano e indistinto o una folla inferocita. Ma, nel personale gergo dei The Voyeurs, significa anche fare un bel po’ di rumore e non dire nulla.

“Rhubarb Rhubarb” è un disco britannico fin nel midollo, almeno quanto “Clarietta” era newyorkese nell’anima. Un disco che inizia piano e finisce forte, come se i The Voyeurs volessero testare la capacità  di resistenza di chi li ascolta. “Train To Minsk”, a metà  tra glam, pub rock e psichedelia, sembra proprio voler dire avanti, dai, vediamo se anche stavolta riuscite a venirci dietro oppure no. Scherzano, provocano, i The Voyeurs. Prendono in giro con i due modaioli singoli “Stunners” e “England Sings Rhubarb Rhubarb”. Da bravi inglesi sarcastici che non si formalizzano neppure davanti a pazzi afterparty (“The Smiling Loon”) o a storie di violenza domestica (la spigolosa “Pete The Pugilist” e “Say You Love Him (And Choke)” in odor di T Rex).

Ma il meglio i The Voyeurs lo danno quando fanno sul serio, come nella tripletta finale “Damp Walls” – “May Will You Stop” – “French Fancy” (rispettivamente la canzone più riuscita, la più onesta e la più rock di tutto l’album). Proprio quando sembrava che i cinque Voyeurs stessero cominciando a scaldarsi però, “Rhubarb Rhubarb” finisce e lascia un po’ con l’amaro in bocca. Un album curioso, musicalmente avventuroso. Da ascoltare senza pensarci troppo, divertendosi e battendo il piedino a tempo.