Una giornata qualsiasi e senza pretese può caricarsi di emozioni e sensazioni. E questa l’impressione prima che si ha durante l’ascolto di “Darling Arithmetic”. Il terzo disco di Conor O’Brien è una passeggiata tranquilla, turbata soltanto dal vento che scivola nei capelli con l’umore di chi ha la sensibilità  e la voglia di ascoltare le melodie sempre ben riuscite del piccolo folletto, ora barbuto, irlandese.

“Darling Arithmetic” è stato scritto, registrato, prodotto e mixato da O’Brien a casa, un loft di una casa colonica ristrutturata situata nella città  costiera di Malahide, a nord di Dublino, rivelandosi con una formula che in molti adottano e che quasi sempre risulta vincente L’isolamento è la chiave per aprire il proprio songwriting e nel caso di O’Brien, le qualità  dei Villagers  le avevamo già  apprezzate con “Become a Jackal” e “Awayland”, è un cantautorato che include, come un grande abbraccio, le varie sfumature del sentimento: il desiderio, il coraggio, l’ossessione, la rassegnazione, la solitudine, la confusione passeggiando nei massimi sistemi della filosofia e dell’esistenzialismo attraverso un mondo fatto di amici, parenti, amanti e persone sconosciute. La registrazione in solitudine ha portato a qualche cambiamento nella stesura dei nove brani del disco. Gli arrangiamenti più spogli e meno articolati dei lavori presenti ruotano intorno alla chitarra sempre ben presente regolatrice dei giochi e dettatrice di tempi. L’artista irlandese che già  avevamo apprezzato per come suona e come canta ancora una volta ci regala un cantato intenso, profondo, delicato, affascinante e soprattutto scrive delle melodie bellissime e riuscitissime. I singoli “Courage” e Hot Scary Summer” sono due perle che alzano il livello del disco. Un richiamo a riconoscere uno stile quello di O’Brien riconoscibilissimo che pian piano si sta ritagliando una fetta di spazio nel variegato mondo del folk e del songwriting dei giorni nostri.

I 36 minuti del disco possono sembrare  pochi e tanti, ma con   due singoli che non alzano la voce ma che conquistano subito, una ballad vecchio stile “No one to Blame” e un equilibrio sonoro che convince, i  Villagers possono ritenersi più che soddisfatti.

Non è un disco che sconvolge la vita ma è un disco che ti fa piacere pensarlo, quando in una giornata in cui aspettavi ben poco, è venuto a cercarti per giocare con il tempo dei ricordi e del presente. Perchè questo disco ha la capacità  di non lasciarti e malinconicamente ti si incolla addosso.