Era il 2012. Kristian Matsson, aka The Tallest Man On Earth (Ancor’oggi trovo geniale la scelta del nome d’arte), pubblicava  il suo terzo disco studio “There’s no leaving now” mostrando piccoli segni di stanchezza e cedimento dovuti ad una piccola ridondanza con se stesso e i suoi precedenti lavori. Un disco un pò stanco, ecco. Ma tutto questo perchè con due Ep spaventosamente incredibili e due dischi superbi e incredibilmente folk, il piccolo grande svedese ci aveva letteralmente sorpresi e spiazzati, come la piccola che gioca contro la grande e si porta i tre punti a casa. Una voce atemporale, dannata alla Dylan, sofferta alla Bono Vox, sicura alla Springsteen ma tutta sua, riconoscibile. Dal vivo Tallest Man è unico, trascinante, coinvolgente. Nella sua voce, nei suoi testi, nelle sue chitarre spesso fingerpicking, senti tutto il Midwest americano, i suoi grandi prati distesi, i tramonti giganti che riempiono l’anima di nostalgica amarezza di ciò che è stato il tempo, la vita. Una solitudine che in pochi sanno raccontare, quella voglia fanciulla di sognare aspettando il momento giusto per fare un passo avanti.

E’ il 2015 e Tallest Man è tornato con “Dark Bird is Home”. La sostanza non è cambiata e se in passato si è sentita un impercettibile stanchezza compositiva, con questo quarto capitolo possiamo solo essere felici e poter dire Bentornato! Poche le novità  presenti nel disco. Wikipedia ci parla di takes fatte in vari paesi, studi, fienili e soprattutto le dieci tracce del disco registrate con una band. Lo stesso Matsson ha parlato di un disco più introspettivo e personale ma con tante piccole sfumature e piccole perle che rendono la tracklist veramente appagante. Piccole novità  che non intaccano l’ossatura e la struttura del cantautore svedese, ormai una certezza e forse una delle poche espressioni del songwriter contemporaneo ma senza tempo, zeppo d’America ma che non trascura l’Europa e la scandinavia stessa. Non esagero se dico che ci stiamo vivendo il talento, il cantautore che negli anni ’70 non avrebbe sfigurato.

“Dark Bird is Home” oltre alla struttura acustica e alla voce cristallina suona, a piccoli tocchi e piccole carezze, il piano, il banjo, il mandolino, l’armonica e le slide guitar. Parla di cuori infranti che non mollano, che non si abbattono, di piccoli accenni country-blues, di solitudine, quella presente in ognuno di noi e soprattutto d’amore, quello che ci fa saltare dalla sedia della vita. La title track che chiude il disco è un pezzo che ti lascia senza respiro. Nel frattempo ci sei arrivato già  male e stravolto, perchè l’impatto emotivo che ti da “Dark Brid is Home ” è eccezionale, vivo, reale e fugacemente sognante. Una costante maledettamente felice e triste nel pensare che Something The Blues is just a passing Bird.

…This is not the end, this is fine…

Photo: Kaitlin Scott