THE SHALALALAS

E’ rimasto tutto come ce lo ricordavamo, le distese di cemento del Parc del Forùm, i colori e soprattutto il mare ad abbracciare tutta l’area rendendo alcuni palchi unici nel loro genere e confermando che è il gusto nelle scelte, a rendere il Primavera la pietra miliare che rappresenta. Ci accoglie subito un pezzo d’Italia, nel piccolo corner del Ray Ban Unplugged, l’Italia giovane e quella migliore, con tanta voglia di fare. Questi sono i The Shalalalas che, in trio per l’occasione, regalano un’esibizione godibile tra folk e atmosfere beatlesiane, riuscendo a rapire l’attenzione dei presenti e degli addetti ai lavori, nonostante l’agitazione che può comportare il trovarsi ad aprire un evento del genere, che dire buona la prima.

VIET CONG

Tempo di congedarci , ed è subito l’ora di fare sul serio, perchè sul Pitchfork stage stanno per attaccare i Viet Cong. Il sound del quartetto canadese è un qualcosa di spiazzante, non definibile in un genere unico e nonostante ciò perfettamente riconoscibile, in un live che non lascia spazio ai pensieri i quattro di Calgary alternano pezzi dall’attitudine più squisitamente post-punk a suite strumentali post-rock che non lasciano scampo, un muro di suono scandito dalla precisione chirurgica dei due chittaristi e impreziosito dalla voce rotta sommessa del frontman-bassista Matt Flegel. Rocciosi.

ANTHONY AND THE JOHNSONS

Dopo essere stati rimbalzati (ahinoi) dall’auditori rockdeluxe andato sold-out istantaneamente per il live di Sun Kil Moon, a consolarci ci pensa uno dei due mastodontici Main Stage, targato Heineken. A fare il suo ingresso sotto un telo bianco e coperto da una maschera del teatro kabuki giapponese è Anthony Hegarty, forse una delle voci più riconoscibili e soavi di tutto il panorama internazionale. Accompagnato da una sezione d’archi mozzafiato e dagli onirici impianti video di felliniana memoria, Anthony and the Johnsons è più di un live, è recitazione, metateatro, ma soprattutto tanta e contrastante emotività  in uno spettacolo che conferma e leggittima a pieno lo status di fulgida stella della musica contemporanea che da anni questo progetto mantiene. Da brividi.

TYLER, THE CREATOR

La corsa (tra un palco e un altro) è il leitmotiv di questo primo giorno, sulla piana che contiene i due Main stage facciamo appena in tempo ad incontrare “‘la montagna’ Gigi Datome direttamente dai parquet dell’Nba che in men che non si dica siamo catapultati nuovamente al Pitchfork Stage per l’apparizione di uno dei rapper più iconici degli anni zero, Mr Tyler, the Creator. Puntuale come un orologio svizzero il leader del collettivo Odd Future (anche se a quanto pare non più), fa il suo ingresso on stage accompagnato da un muro di bassi e sulle note di “Deathcamp” vero pugno nello stomaco direttamente dall’ultimo lavoro “Cherry Bomb”, in un’ora intensa e senza break di live, il “‘golden kid’ losangelino conferma tutto il carisma e la follia cui ci ha abituato, dimostrandosi un performer di altissimo livello e un comunicatore che nulla a invidiare ai grandi della scena internazionale, nonostante la giovanissima età  (ha 24 anni), che dire “‘F*** that Golf Wang!’.

CHET FAKER

Nella lunga traversata che ci porta verso il palco principale, ci imbattiamo nel gremitissimo auditorium Ray-Ban, dove Chet Faker sta concludendo il suo set. Il cantautore australiano abbandonata l’idea del live da solista e dedicandosi esclusivamente al cantato (ha una band a supportarlo), regala un live decisamente maturo e all’altezza delle enormi aspettative, confermando il posto d’onore a lui attribuito nella scena del neo-soul elettronico e proiettandosi verso un proseguimento di carriera all’insegna di grandi soddisfazioni, chissà  che a breve non lo ritroveremo sul Main stage”… Mentre risuonano nella notte di Barcellona le hit “1998” e la magica “I’m into you” per noi è tempo di recarsi al Primavera Stage per la performance degli headliner The Black Keys.

THE BLACK KEYS

Forse l’unica sorpresa relativamente negativa di questa serata ce la riservano proprio gli headliner, che troviamo già  sul palco del Primavera Stage di fronte ad una folla oceanica. I The Black keys, ormai proiettati nell’olimpo dell’indie rock, non riescono ad incidere come dovrebbero regalando un live sicuramente di livello ma che risulta a tratti fiacco, poco d’impatto, confermando che la vera forza di questa band risiede proprio nei pezzi, alcuni ormai definitivamente impressi nella memoria collettiva che la premiata ditta AuerbachCarney ci ha regalato. Rimandati a Settembre.

JAMES BLAKE

Attraversiamo l’abissale distanza che divide i due Main stage( uno di fronte all’altro) e sulle ultime note dei The Black Keys, ci prepariamo ad assistere a quello che, almeno per noi, è il live più atteso della giornata quello di James Blake. A due anni dall’ultimo “Overgrown” e dopo una breve pausa dai palchi di tutto il mondo, il cantante inglese fa il suo ritorno nella cornice più importante, per anticipare l’uscita del nuovo “Radio Silence” la cui release non è stata ancora ufficializzata ma che si attende a momenti. Dopo qualche minuto di attesa, nel silenzio urbano della notte barcellonese arriva il momento dell’ingresso in una coltre di fumo, l’apertura è affidata come da tradizione ad “Air and Lack Thereof” segue la movimentata “CMYK” che scende addirittura verso atmosfere triphop e post-step, ma è l’inconfondibile loop di voce di “‘I’ve Never Learnt to Share’ che regala i primi brividi di quello che sarà  un set indimenticabile. Destreggiandosi tra primo e secondo album con qualche accenno a quello che sarà  il nuovo lavoro (presentato il singolo “Radio Silence”), il live di Blake è un qualcosa che non andrebbe raccontato, ma vissuto a pieno in ogni secondo che lo compone, uno di quei concerti per cui si ha nostalgia di luoghi del genere quando si torna a casa. Infinito.

RICHIE HAWTIN

Ancora sotto shock per quello che era accaduto poco prima al Main Stage, e dopo la prima vera “‘pausa’ con sottofondo Tale of Us al Bowers and Wilkins stage, è ora di chiusura e di musica elettronica. E chi se non una delle figure più iconiche della techno mondiale poteva asservire a questo compito? Ed infatti sul palco targato ATP non tarda ad arrivare il mitico Richie Hawtin che in due ore larghe di set snocciola tutti i marchi di fabbrica che lo hanno reso una vera e propria leggenda vivente, nella scena internazionale e uno dei volti pià  riconoscibili del clubbing mondiale. Una vera e propria “‘chiusura col botto’ che conferma come anche quest’anno il Primavera Sound non delude affatto le aspettative, noi andiamo che è già  tempo di rientrare! Hasta Luego!