PATTI SMITH performing Horses

Il brutto del Primavera è che finisce troppo in fretta ed in men che non si dica eccoci già  a scrivere il secondo report. Arriviamo sul finire dello splendido set, che celebra i quaranta (sì avete capito bene) anni dell’album forse più iconico e rappresentativo di sua maestà  Patti Smith, che di fronte ad un Heineken stage straripante di folla, dimostra quanto l’età  sia un limite squisitamente mentale, regalando una performance che non ha nulla da invidiare ai fasti del passato con il toccante momento del ricordo degli amici scomparsi durante “Land”, (fra tutti il compianto Lou Reed) e l’ideale passaggio di testimone alla nuova generazione: You’re the next generation, be yourself, be fuc%*ng free!. Leggendaria.

DAMIEN RICE

Oggi è giorno di ricordi, ed infatti non appena concessoci il tempo di girare la testa dall’altro lato della piana che accoglie i due palchi principali e a fare il suo ingresso on stage è un’altra icona della musica dei primi anni duemila, Damien Rice. Accompagnato solo dalla sua chitarra acustica, nel tour che presenta l’ultimo lavoro “My Favourite Faded Fantasy” (del 2014), il cantautore irlandese sciorina brani da tutti e tre i suoi album, tagliando a metà  un decennio intero e riuscendo ad emozionare l’intera platea che canta all’unisono, sulla scia di pezzi memorabili e di una voce difficilmente confondibile, confermando di essere uno degli interpreti più importanti del nuovo millennio.

PERFUME GENIUS

Abbandonati momentaneamente i Main stage, ci appropinquiamo verso il Pitchfork per uno dei live più attesi della serata, quello di Mike Hadreas, in arte Perfume Genius. Dopo aver superato indenni l’ATP stage, casa dei Belle and Sebastian e facendoci largo tra la folla chilometrica, ad accoglierci è proprio la voce delicata e sommessa di Hadreas, che nell’atmosfera raccolta del Pitchfork stage regala un live di posata bellezza, a tratti quasi dalle atmosfere evanescenti, che viaggiano tra il synth-pop più melodico e la canzone d’autore. La figura di Hadreas è sommessa ma profondamente presente e padrona del palco, esattamente come la sua voce che nella finale “‘Queen’ si stringe a quella delle centinaia di presenti in un coro che sembra appartenere ad ognuno. Elegante.

RUN THE JEWELS

Ancora storditi dalle atmosfere sognanti appena abbandonate, ci dirigiamo verso la prima grande “‘sveglia’ della serata, è tempo di farsi male, sull’ATP è tempo di Run The Jewels. Raggiunte le prime file, e dopo qualche birra nell’attesa, la bomba non tarda ad arrivare ed ecco salire sul palco il duo più esplosivo d’America. Nonostante un vistoso tutore al braccio destro per Killer Mike (scopriremo più tardi che si è rotto la spalla) il duo sembra più in serata che mai e al grido di “‘We’re gonna burn this stage to the motherfu***ng ground!’ comincia la festa.

Tra sonorità  che viaggiano dall’old school hip hop dei primi anni ottanta, alla furia dei suoni acidi della 808, vera firma delle produzioni dei due di New York, il live dei Run the Jewels è un tornado di emozioni forti, testimoniate alla grande dall’intenso pogo che si scatena tra le prime file e suscitate sopra ogni cosa dalla maestria lirica dei due mc’s, veramente fuori dal normale. C’è tempo anche per il romanticismo, ed ecco che Killer Mike approfitta dei diecimila del Primavera per fare gli auguri di compleanno a sua moglie, a Barcellona per l’occasione, e per portare a conclusione uno dei live più intensi dell’intera kermesse. Carismatici.

RIDE

Appena in tempo per sventare il furto del mio cellulare in extremis (non ci facciamo mancare proprio nulla), ed è già  il momento per un’altra corsa verso gli infiniti Main Stage dove stanno concludendo il loro set gli headliner della serata, i Ride. Padri del filone post-grunge e iniziatori, insieme a nomi come Slowdive e My Bloody Valentine, di quello che sarà  il movimento Shoegaze, i Ride fanno il loro ritorno sulle scene dal lontano 1996, dopo l’ “‘esperienza’ Oasis e Beady Eye da parte del frontman Andy Bell, regalando un set di grandi classici e facendo sentire quanto il segno che lasciarono prima dello scioglimento, sia rimasto impresso a tutte le generazioni che si sono susseguite.

ALT-J

Il cammino verso l’Heineken stage, sembra un ideale passaggio dal vecchio al nuovo, e le prime file già  completamente gremite suggeriscono l’aria del grande evento. Pur non essendo gli headliner preposti, la sensazione è proprio che il live più atteso sia proprio quello dei quattro ragazzi di Leeds, e dopo quasi mezz’ora di attesa l’inconfondibile synth di “‘Hunger of The Pine’ accoglie sul palco gli Alt-J, tra uno scroscio di applausi in un’atmosfera che solo chi era presente potrebbe capire realmente. La scaletta è quella già  vista nell’apparizione italiana del tour di “This is all Yours”, tra pezzi del primo album, si susseguono “Fitzpleasure”, “Something Good” fino ad arrivare a “Matilda” e i singoli del secondo “Every Other Freckle” e “Left Hand Free”, si consuma quello che sembra il coronamento di una carriera fulminante, che nell’arco di soli due anni ha visto gli Alt-J diventare una delle realtà  più importanti del mondo indipedente e guadagnarsi un posto nel Mainstream, senza mai abbandonare l’attitudine che li ha resi tali e anzi spingendosi anche oltre, scegliendo di rischiare con questo ultimo album.

L’inno generazionale (passateci il termine) “‘Breezeblocks’ cantato insieme a ventimila voci è l’atto finale di un live delicato, ma allo stesso tempo sentito e maturo (indurito anche un po’ per la versione Festival), Che conferma quanto gli Alt-J siano il presente e il futuro della musica moderna. Chapeau.

RATATAT

Raggiunto lo stupendo auditorium del Ray-Ban stage gremito di folla, sul palco è già  tempo di Ratatat. Il duo Newyorkese, tra french-sound e psichedelia si presenta accompagnato da un mastodontico Vidiwall, sul quale scorrono i visual, vero valore aggiunto dello spettacolare live show. L’unico appunto ricade purtroppo sulla presentazione scenica, una band a sostegno, avrebbe sicuramente migliorato l’impatto sia visivo che sonoro e sinceramente alla lunga se ne è sentita la mancanza.

Nonostante ciò, i Ratatat hanno il pubblico in pugno e le linee di chitarre risultano decisamente troppo catchy per potervi resistere.

DIXON

E’ già  tempo di chiusura e questa notte la parte elettronica è affidata ad un nome d’eccezione, il berlinese Dixon, patrono della Innervision Records, e top dj nella Resident Advisor’s Pole del 2014 (classifica che sceglie i migliori producer e dj in giro per il mondo secondo il pubblico), sembra non essere proprio uno qualunque. Il suo live set si conferma di gran gusto, alternando atmosfere a cavallo tra deep house e techno senza mai scadere nel banale, sottolinea quanto la scena tedesca, sia attualmente sinonimo di qualità  assoluta per quanto riguarda la musica elettronica e confermando ancora una volta, l’estrema attenzione nelle scelte della line-up da parte del Primavera. Con il Ray- Ban stage a mo di gigantesco dancefloor e un’altra alba che sale sul mare, noi siamo pronti per il Gran Finale.