AMERICAN FOOTBALL

Con il cuore distrutto all’idea di dover già  abbandonare questo angolo di paradiso, ci appropinquiamo per l’ultima volta verso il Parc Del Forum per onorare come si deve l’ultimo giorno di questo Primavera Sound. Dopo aver assistito alla conferenza stampa di chiusura del festival (quasi inavvicinabile per il caldo subsahariano) nella minuscola sala all’interno del Press Lounge, e rassicurati sui numeri strabilianti di questa edizione è subito il momento di fare sul serio, perchè sul Pitchfork Stage è già  tempo di reunion di livello, è tempo di American Football.

La formazione americana, che con un solo album era riuscita a definire un genere intero sul finire degli anni novanta (“American Football” del 1999), torna prepotentemente sulla scena un quindicennio dopo, per rivendicare il posto che di diritto gli spetterebbe nella scena musicale mondiale. Il live show che ci si presenta però, sembra dire qualcos’altro e nonostante l’incredibile vena emotiva che la voce di Mike Kinsella tuttora riesce a trasmettere, i quattro dell’Illinois non riescono a incidere, proponendo un’esibizione a tratti statica, quasi priva di mordente, sicuramente penalizzata dalla location che non permette di cogliere appieno lo spirito della musica di Kinsella e soci. Peccato.

MAC DE MARCO

Salutato il Pitchfork, arriva per noi il tempo di “‘correre’ all’Heineken Stage per l’esibizione dell’unico ad essere mai stato arrestato on stage perchè “‘beccato’ a fumare erba, il “‘Ragazzo spensierato’, in arte Mac De Marco. Il canadese al nostro arrivo ha già  in pugno l’intera piana, che si è subito trasformata in un gigantesco raduno hippie pronto a far festa al primo segnale, segnale che non tarda ad arrivare quando risuonano le note della jangle ballad “Let Her Go”.

L’atmosfera è veramente quella di una festa e il buon Mac accompagnato da una band di pazzi scatenati, regala tutte le perle dei suoi ultimi due lavori, compresa una cover assolutamente improvvisata di “Yellow” dei Coldplay, lasciando tutti piacevolmente rapiti. Lo stage diving finale di diversi minuti è “‘la ciliegina sulla torta’, di un live semplice, diretto, ma allo stesso tempo raffinato e ricercato, che sicuramente conferma quanto il giovanissimo De Marco sia uno dei comunicatori migliori della sua generazione. Buona la prima.

KLO

Vagando un po’ alla cieca in uno dei pochi momenti liberi che l’impietosa time-table della giornata ci concede, facciamo forse la scoperta migliore di tutto il festival. Nel modestissimo stage targato H e M Pro a ridosso dei palchi principali, ci imbattiamo in un duo veramente promettente, che scopriamo rispondere al nome di Klo, promessa della musica elettronica d’oltreoceano e oggetto di attenzione di numerosi addetti ai lavori. In un sapiente mix di atmosfere elettroniche dub e post-garage, impreziosite dalla voce angelica della giovanissima cantante Chloe Kaul, e da linee rapite al mondo del neo-r n’ b, il duo regala un set intenso e godibile, scandito dai beat eleganti del producer Simon Lam (anche lui giovanissimo) che ci lascia con la sensazione che sia amore a prima vista. Da tenere d’occhio.

INTERPOL

Riposati e rifocillati, e dopo aver visto trionfare il Barcellona nella coppa del Re in un atmosfera da stadio al maxi schermo allestito per l’occasione nell’area food, arriva il momento dei primi headliner e a fare capolino sono proprio dei signorotti americani chiamati Interpol. La band di New York City capitanata dal super-frontman Paul Banks, và  incontro ad un’ora e mezza di un live roccioso, senza fronzoli, che ripesca grandi classici del passato, fra tutte “Evil”, “Stella Was a Diver” alternandoli con i singoli dell’ultimo “El Pintor”, che ha letteralmente diviso a metà  la loro fan base tra nostalgici ed estimatori, senza osare più del necessario ma riuscendo ad incidere lì dove tutti stavano aspettando. Efficaci.

THE STROKES

Sulle ultime note degli Interpol, comincia l’assalto alle prime file per quello che forse è l’evento che tutti stavano aspettando, il ritorno del gruppo che ha segnato un’era con le sue canzoni e che ha scelto il Primavera sound come inizio di un nuovo capitolo, è gia tempo di The Strokes. L’attesa è estenuante e la tensione si taglia con il coltello ma dopo il quarto d’ora accademico di ritardo, ecco che Casablancas e soci fanno il loro ingresso sull’imponente Primavera Stage sulle note di “‘Macchu Picchu’, togliendo definitivamente ogni freno all’entusiasmo del pubblico ed inaugurando quella che sarà  una serata memorabile.

La scaletta è quella dei tempi migliori si rincorrono le varie “Someday”, “Heart in a Cage”, “Automatic Stop” fino ad arrivare al momento forse più bello ed intenso dell’intero live, con il ritornello di “‘You Only Live Once’ che rimbalza su oltre quarantamila labbra stringedosi in un unico coro. Nonostante l’età  non sia più quella degli anni d’oro, e nonostante le discutibili scelte di look di sua altezza Julian, i cinque newyorkesi regalano un live bellissimo, di incredibile carica emotiva che, come era successo per gli Arcade Fire l’anno precedente, viene coronato dall’abbraccio del Parc del Forum, consegnando definitivamente gli Strokes alla storia della musica moderna. Iconici.

SHELLAC

E’ sempre così, quando si conclude il Main Event dell’ultimo giorno, comincia a farsi strada quella malinconia che portano con sè le cose belle quando stanno per finire e un po’ abbattuti, ma decisi a concludere nel migliore dei modi, ci rechiamo per l’ultima volta all’adidas originals dove stanno suonando i padri del noise rock e la creatura del leader Steve Albini, gli Shellac. Il “‘trio rock minimalista’ come ama definirsi, mette subito in chiaro le cose proponendo un set senza battute d’arresto, tra strutture ai limiti del matematico e momenti di pestaggio duro che non le manda a dire, confermando quanto la sperimentazione sia la parola d’ordine quando si pronuncia il nome di Albini. Massicci.

CARIBOU

Abbandonato prematuramente il live degli Shellac, ci rechiamo al magico Ray-Ban stage, per accaparrarci la “‘poltronissima’ a quello che sarà  il live di chiusura di questo Primavera Sound 2015 e che forse il sottoscritto aspettava più di qualunque altro, il set di Caribou. Con la copertina dell’ultimo lavoro “Our Love” che campeggia in bella vista sull’americana e il mare alle spalle, in un’esplosione di flash ecco comparire sul palco il mitico Daniel Snaith e i suoi compagni d’avventura. La opening track è appunto affidata alla title “Our Love” ed è da subito chiaro quale sarà  il proseguimento della performance, che già  dalle prime note infiamma l’auditorium in un turbinio di colori ed emozioni. Seguono “‘Mars’ con il suo esasperato loop ritmico che trasforma l’intera platea in un gigantesco rave a cielo aperto e la hit “All I Ever Need”, Snaith è una forza della natura e passa l’intero set ad alternarsi tra voce, batteria e synth non mollando un solo centimetro. Arrivano le fatidiche “Odessa” e “Can’t Do Without You” in una climax ascendente che porta alla conclusiva “Sun” che con la sua semplicità  mette l’ultimo sigillo a quella che rimarrà  per tutti noi un’esperienza indimenticabile.

DJ COCO

In un Ray-Ban stracolmo all’inverosimile, è ormai tempo di saluti e il tradizionale set di Dj Coco con ai lati i momenti più belli delle scorse edizioni, conclude definitivamente questa quindicesima edizione del Primavera Sound Festival, lasciandoci tristi e senza nessuna voglia di tornare alla routine di tutti i giorni, ma sapendo di avere un ricordo in più da poter conservare dentro al cuore e con la promessa di rivederci l’anno prossimo, sempre qui di fronte al Mediterraneo.
Auguri Primavera!!!