Un pomeriggio di tre anni fa, a Edimburgo, compravo un vinile giusto per una persona sbagliata. La busta del negozio era verde scuro e la scritta dorata mi aveva convinto a non pentirmene (per quello avrei avuto i due anni successivi). Riportava una citazione di John Peel: un tizio gli dice che i cd sono meglio dei vinili perchè non hanno rumore di superficie. John risponde: “Listen, mate, life has surface noise” e non ce n’è più per nessuno. Non ho più il vinile nè la busta ma queste parole mi tornano in mente mentre Micah P. Hinson suona al  Bronson di Ravenna e ho la conferma che la vita non sia riproducibile in suoni ordinati.

In altri termini, se la vostra idea di live comprende prodezze di chitarra, armonie vocali, un’esecuzione liscia e impeccabilmente diligente, non è Micah P. Hinson che cercate e non è Micah P. Hinson che amerete. Ma il pubblico che riempie il locale ravennate il 20 maggio forse lo sa già : Micah è un affezionato del luogo e questa sera presenta “Broken Arrows”, 12” in vinile in collaborazione proprio con Bronson Produzioni.

Micah, scordinato nella sua accozzaglia di vestiti da spaventapasseri, sale sul palco barcollante e maldestro, si direbbe visibilmente ubriaco – ma pare che abbia smesso e noi daremo credito ai fiduciosi. Seguono più di due ore di concerto in cui il texano dà  fondo a buona parte della discografia, di certo esaurisce “Micah P. Hinson and the Gospel of Progress” (2014), proposto per intero o quasi, a partire dalle più note “Close Your Eyes” e “Beneath The Rose” in apertura che impostano il mood: ruvido, impreciso, viscerale. “I like making a lot of noise” dice, dopo aver eseguito  una bellissima “Stand in My Way” crescente da sospirato acustico all’urlo più amaro.

Mr. Hinson si offre senza riserve, non teme le operazioni a cuore aperto. Ci parla di spermatozoi insufficienti, della scienza limitata che non lo credeva in grado di concepire e celebra il miracolo ““ così dichiarato ““ del figlio in arrivo: dovrà  cambiare stile di vita, così promette. Dedica “The Day Texas Sank to the Bottom of the Sea” al nonno, “un figlio di puttana che non credeva potessi arrivare da nessuna parte con la musica”, seppellito in un caldo pomeriggio estivo, lo stesso giorno del primo show veramente importante del nipote, per quella strana ironia che sanno avere le congiunture astrali. Sbaglia, ricomincia, non c’è nulla di formale in questo incontro, e non riesco a pensare a parola più opportuna per definire il suo concerto. Chiude con la cover di “Something In The Way” dei Nirvana, a ricordarci che paragonarlo con Johnny Cash non basta se non si tira in mezzo un certo punk, un certo rock, un certo tipo di rabbia che la sua “Patience” ancora ben rappresenta.

Micah P. Hinson ha 34 anni. Prima dei 20 ha collezionato: tossicodipendenze e re-hab, una dangerous liason con una femme fatal vedova di un musicista rock locale, un certo periodo di tempo in prigione. Poi, nel 2011 un incidente quasi mortale che ha rischiato di fargli perdere l’uso delle mani. Abbastanza per scriverci un romanzo, abbastanza per sapere che la vita ha un rumore di superficie e a volte, più che un fruscio leggero, è uno stridore di gessi sulla lavagna e di grida contro il microfono.

Credit: Beatrice Ciuca