Il mondo indie (o come volete chiamarlo) targato UK da sempre è un continuo susseguirsi di date imperdibili o di appuntamenti spacciati come tali.
A cadenza più o meno semestrale tracciamo un bel cerchietto rosso sul calendario a segnare l’uscita dell’attesissimo lavoro di una band, l’ultima fatica che cambierà  in maniera più o meno radicale la concezione dell’indie come lo conosciamo.

La realtà  è che ogni volta, questi imperdibili eventi epifanici diventano solo un’occasione mancata ed un’aspettativa delusa.
Perchè, fondamentalmente il mondo della musica alternativa inglese, per lo meno quello che va per la maggiore, oramai è ripiegato su se stesso da tempo, a giocare con i pallini di lana del proprio ombelico. Ci offre gli stessi accordi, le stesse situazioni e tutto comincia un po’ a ristagnare.
E lo dico con il cuore in mano, essendo io stato un fruitore assolutamente sincero di questo genere.
Di quelli che sono i marchi tipici della musica indie se ne sono sempre serviti i Maccabees nella loro carriera, offrendo sempre un prodotto che fosse sempre identificabile all’interno di quello che è l’universo discografico “alternativo” inglese.
Un prodotto assolutamente di classe e curatissimo ma mai propriamente originale.
Una massima espressione di quelli che sono i massimi espedienti della musica indie-rock.
Con questo “Marks to Prove It” hanno voluto, a parer mio, estremizzare al massimo questo concetto, che era già  stato espresso alla grande in “Given to the Wild”.
Abbiamo un album compatto e convincente, un esempio enciclopedico di quella che è (stata) la musica che ha fatto innamorare tanti tra noi, sviscerata in ogni sua forma.

La title-track per esempio, è una canzone energica e coinvolgente, un classico esempio di quell’indie-rock che ha fatto saltare e muovere la testa ad ognuno di noi.
Una linea di chitarra ritmata, un ritornello coinvolgente, ed un cambio di tempi a metà  per far riprendere il fiato ed aggiustarsi il ciuffo di capelli che è finito sopra gli occhi.
C’è pure spazio per brani luminosi e spensierati come “Something Like Happiness”, uno di quei pezzi che hanno subito un “oh oh oooh” pieno di gioia in apertura per farti capire che andrà  tutto benissimo.
“Slow Sun” invece è la tipica canzone contaminata da fiati creata apposta per vivere aperitivi in piena atmosfera indie-lounge.
Il resto dell’album contiene brani più ritmati (come “WW1 Portraits”) e brani con cadenze più lenta ed atmosfere più emozionali, tra cui spicca la bellissima “Kamakura”.

Menzione speciale anche per “Split it Out” un’intesa marcia che assume via via velocità , cadenzata in un climax da un coinvolgente giro di piano.
“Marks to Prove it” è un album che, per certi versi, è straordinario ed, a tratti, miracoloso; in un periodo di flessione e di mancanza di prospettive e di idee innovative nella scena Indie-rock riesce a farsi ascoltare ed a meravigliare l’ascoltatore.

Non propone nulla di nuovo ma è puro Indie, scritto bene e suonato benissimo.
Per chi, come me, è stato un fan un po’ disilluso di questo genere questo album apre una piccola finestra sul (recentissimo) passato.
Poi, certo, rimane la consapevolezza e la nostalgia.
Quelli, e una manciata di canzoni veramente formidabili.

Credit Foto: tvbomb.co.uk / CC0