La silhouette estetica che gli inglesi Darkstar disegnano nel nuovo disco “Foam Island” più matura e più si rende impalpabile, i contorni svaniscono e la sostanza si fa gassosa,aerea, quasi cipria elettronica che imbelletta l’ascolto di materia spacey, landscape onirici e una consumata tecnica manipolatoria che rende il duo praticamente “invisibile” in tutti i sensi.

Una specie di concept in cui interviste rielaborate fatte a gente che abita nel North Yorkshire inglese ““ opportunamente arrangiate e trasformate in essenze soniche ““ producono una specie di viaggio trasversale tra psichedelica e sperimentazione riversato in un dub-step oscuro e lattiginoso nel contempo, un freddo caldo cui occorre una bel paio di giri stereo prima di metabolizzarlo pienamente.

Anima digitale e spirito sinth-pop delineano strategie sinuose e sfuggenti, un ascolto rarefatto che nelle particelle folkly “Basic Things”, nei giri amniotici “Cuts”, attraverso le notti Bristoliane della titletrack, “Pine secure” e “Days burn blue” esprime i punti più alti dell’intero lotto, e anche luogo sonoro in cui un lontanissimo Tricky occhieggia beffardo.