è inutile, il 2015 sta per concludersi e anche quest’anno il footwork non è riuscito a penetrare definitivamente i nostri confini. Kavain Space in arte RP Boo, figura mitica a Chicago e non solo, non ha facilitato tale allargamento e relativo straripamento con un disco difficilissimo da digerire.
“Fingers, Bank Pads And Shoe Prints” – secondo LP per lui – è tutto costruito attorno ad un nucleo duro fatto di samples, percussioni strabiche e ghetto house accelerata a dismisura. L’evoluzione continua del genere, la prima traccia “footwork” risalirebbe al 1997, fa comunque ritorno a quel centro granitico; si rientra nelle piste da ballo della “Windy City”.

Qui c’è di mezzo la Planet Mu e dunque Londra, ma non bisogna stupirsi perchè a tal riguardo in Europa siamo rimasti pochi ad occupare la classica ultima ruota del carro. La questione della mancata curiosità  italica sul genere è più un cruccio personale, ovvero l’impossibilità  del consumatore (io) di poter usufruire di serate a tema in cui ascoltare tale musica e ballare. Forse il problema è proprio quello, non esiste, tranne in rarissimi ambienti, la spensieratezza e la gioia di uscire a ballare, sudare e ridere senza fregarsene di un contesto che richiede certi canoni stilistici basati sulla perfezione. Ovviamente anche nelle dance battles americane ci sono “regole di comportamento” e canonizzazioni, ma la libertà  di esprimersi è senza dubbio maggiore. Se qualcosa va storto nel suono si dovrebbe ridere e ripartire, non schifarsi e fingersi esperti fonici ecc. ecc. Il “footwork” ti lascia senza energie e non c’è tempo per farsi tali pippe mentali.
E allora perfetto il “motherFUCK your favourite DJ!”, sample che si aggira circondato dalle classiche intersezioni rullanti. La complessità  nervosa viene riversata tra linee di bassi, dialoghi e voci che non si incontrano mai e paiono correre parallele, snares furenti, horn vintage e compagnia bella.
Innegabilmente può apparire un agglomerato più o meno casuale di ingredienti, senza un filo conduttore. Il mal di testa magari è dietro l’angolo, eppure se si arriva in fondo è impossibile non annusare un talento illegale. L’ultimo aggettivo usato non è messo lì per creare un ambiente da bulli di quartiere, ma rispecchia il potenziale improprio del disco.

La fruizione live di “Fingers, Bank Pads And Shoe Prints” – nell’ambiente le dance crew sono una necessità  e non un reality show – deve essere sicuramente spaventosamente bella, per questo il voto è spostato in alto forse oltre il dovuto.
Le spruzzatine soul arricchiscono lievemente il tutto, anche se poi trionfano fischietti e drum machine mai monotone. Il crescendo si lega alla stratificazione, si fondono più linee musicali per dar vita al nucleo sopracitato; il tutto vibra fortissimo ed emana una carica pazzesca.
Sperimentazione e tradizione non sono mai state così legate, il contesto non è un dato marginale. Si respira in ogni traccia la comunità  intera, l’attaccamento alle radici e le metamorfosi di un rumore di fondo che si evolve nel tempo.
Comprese le coordinate base non resta che lasciarsi andare, anche a molti chilometri di distanza si può fare.