Un classico del noir ma anche capolavoro immortale di Orson Welles (tratto dal romanzo di Sherwood King “If I die before I wake”), “La Signora di Shanghai” ritrae una delle femme fatale più intense e spietate della storia del cinema, interpretata da una superba Rita Hayworth al tempo moglie del grande regista americano.

Il marinaio irlandese Michael O’Hara (Orson Welles) incontra in una notte d’estate a Central Park la bellissima e conturbante Elsa Bannister (Rita Hayworth) salvandola da un’aggressione. Michael viene subito ingaggiato a prestare servizio sullo yacht del marito di Elsa, un ricchissimo avvocato molto più anziano di lei interpretato da Everett Sloane. Durante il viaggio cominciano ad affiorare strani intrighi e una cupa atmosfera, soprattutto tra Elsa e il signor Bannister, mentra tra il marinaio e la bella signora nasce l’amore fatale che condurrà  il protagonista (e lo spettatore) in un vortice senza via di scampo.
Anche se il film ruota attorno alle vicende dell’irlandese Michael O’Hara, il personaggio più affascinante è quello di Emma Bannister, una Hayworth bionda e con i capelli corti, tagliati appositamente per ragioni di copione, un magnifico angelo, fragile ma allo stesso tempo spietato e crudele, infelice di aver sposato un uomo che non ama.

Ammaliato nella rete di questa donna fatale, Michael decide di accettare la strana proposta del signor Grisby, socio di Bannister: fingere un omicidio affinchè Grisby possa vivere lontano da tutto in cambio di un’ingente somma di denaro che permetterà  ai due amanti di fuggire insieme. Come spesso accade nei film noir, l’avvicendarsi del plot si fa sempre più intricato, la situazione infatti diventerà  davvero complicata per O’Hara nel momento in cui il signor Grisby verrà  davvero assassinato. Chi si cela dietro questa macchina infernale di passione, tradimenti e sangue?
Elsa Banninster è la chiave di quest’opera: deus ex machina e demiurgo che muove i fili di una trama vorticosa verso il vuoto, tutto ruota attorno all’immagine di lei e perciò all’immagine cinematografica. Emblematica è infatti la sequenza finale nella stanza degli specchi dove l’immagine dei personaggi riflessa si moltiplica all’infinito in un gioco metariflessivo sulla potenza della macchina-cinema, mondo onirico e illusorio, come le attrazioni di un parco dei divertimenti. Per distruggere l’immagine reale di Elsa, bisognerà  prima frantumare gli specchi dove quest’immagine si riflette, così la femme fatale e la sua potenza ammaliatrice verrà  distrutta in mille pezzi, soffocando per sempre la minaccia di cui è portatrice. Nel noir concepito in maniera classica, il pericolo viene sempre impersonato da queste donne dal fascino oscuro, donne che vivono fuori dagli schemi, ribelli e libere, poco inclini alla vita di mogli remissive ma sempre in cerca di passione e di amore folle. Elsa qui è di fatti l’emblema di tale prototipo, ma è allo stesso tempo e una donna infelice che agisce per desiderio e si fa sopraffare da questo arrivando anche all’omicidio. Elsa è proprio la materializzazione del desiderio, nonchè l’oggetto desiderato verso cui lo sguardo di Michael e dello spettatore vengono fortemente attratti. Proprio per il suo carattere non conforme alla regole rappresenta una costante minaccia di castrazione per entrambi i personaggi maschili (O’Hara e l’avvocato Bannister) che la amano e la temono. “La signora di Shanghai” e il ghiaccio bollente che Orson Welles ha portato sullo schermo rendendo immortale una delle figure più seducenti della storia del cinema.

La donna del ritratto: Here she comes / You better watch your step /She’s going to break your heart in two it’s true / It’s not hard to realize.
Rubrica mensile dedicata alle figure paradigmatiche della femme fatale all’interno di opere cinematografiche memorabili che più rappresentano questa figura misteriosa e affascinante.