C’è una fantastica recensione dell’ultima fatica degli Zeus che sta spopolando online: una webzine inglese, specializzata in musica pesante, si arrende letteralmente di fronte alla massiccia inclassificabilità  di “Motomonotono”, concludendo quelle righe con un’ammissione di sconfitta, qualcosa che suona come “gli Zeus son due musicisti mostruosi, ma noi non riusciamo assolutamente a capirli; provateci voi”. Bisogna ammettere che, al traguardo del terzo disco in cinque anni (e no, non è poco, considerate le carriere da ottimi session-men di Luca Cavina e Paolo Mongardi), la proposta del duo (partito da Imola e approdato stabilmente alla label americana ThreeOneG, creata e gestita dall’iperprolifico Justin Pearson) infatti non si è affatto ammorbidita, ma anzi prosegue nelle sue traiettorie schizofreniche ed esplosive.

“Motomonotono” rispetto ai lavori precedenti è un’opera capace di aprirsi a sperimentazioni nuove, come dimostrano le incursioni sempre più frequenti in territori tra dark-ambient e drone (che sfociano in una “Panta Reich” dove i due Zeus appaiono più calmi che mai, eppure sempre ugualmente disturbanti): forse è proprio qui l’elemento di maggior novità , in un disco dai ritmi meno forsennati, non soltanto in riferimento ai già  citati influssi drone all’incedere doom della grandiosa “Shifting”, ma all’attitudine generale, dove anche i brani più veloci suonano generalmente più ragionati e meno impulsivi del passato.

è quasi inevitabile dunque definire “Motomonotono” come l’album della maturità  per una delle più spiazzanti creature del sottobosco pesante italiano, eppure gli Zeus affrontano questa nuova sfida con la nota, divertita e massiccia perizia tecnica e con la stessa, liberissima inventiva di sempre.