La musica pop, la stramaledettisima musica pop, quella che non si sa mai come prenderla.
Uno strato di ghiaccio fino e scivoloso in cui basta un passo falso per far sprofondare la tua reputazione. (Ne ho una? Non so, ma mi piace crederlo).

Poi, sono sicuro che ci siano stati pure tempi in cui fosse relativamente agile recensire un album di musica pop: erano gli anni dei Beatles e non c’era internet.

Nel ventunesimo secolo il modo migliore per approcciarsi al pop è quello di evitarlo, preservandosi così dal cadere nei tranelloni delle varie next big thing, sempre più ricorrenti e sempre più incensate, che si presentano come punto di raccordo tra la musica popolare ed il mondo degli ascoltatori di nicchia (ma esistono veramente queste nicchie, ora con Spotify?)

Insomma, conosciamo tutti la ricetta vincente degli ultimi anni in cui si sono susseguite varie piccole e grandi nuove icone, presentando un suono che fosse, certamente pop, ma anche indie-friendly. Sia nell’attitudine (Lana Del Rey) sia nella produzione (lo smodato uso dell’elettronica di Mà’) sia, semplicemente, nell’impacchettamento (Lorde).
Alimentando sempre vane speranze.

A conti fatti però, in tutte queste esperienze è sempre mancato qualcosa in freschezza e prospettive.
Insomma, sintetizzando brutalmente, la produzione in questi album mi è sempre apparsa come pensata per piacere e per colpire nel breve senza avere largo respiro nel lungo periodo.
Musica di consumo, insomma. Come buona parte della musica pop.

Ecco, un enorme giro di parole che mi serve solo a giustificare il voto altissimo che ho dato a questo “Art Angels” di Grimes. Semplicemente, date le premesse, per me è un mezzo miracolo. Un bel album per musica pop, come non se ne sentivo da tempo.
Molto banalmente, l’artista canadese è riuscita a portare a termine il compito più difficile per qualsiasi stella del pop: quella di fare un LP che sia diretto ma non scontato.

Andiamo con ordine, però: le qualità  di Claire Boucher non sono assolutamente una novità . Al contrario, già  in “Visions” si notava un’ottima vena compositiva. Tendente un po’ alla ripetitività , certo, ma, in ogni caso, sopra la media.

Insomma, c’erano le premesse per un buon lavoro, sì, e quello io mi aspettavo. Non questo ottimo e camaleontico LP, in cui i suoni si stratificano e le influenze si raddoppiano, dando vita ad un suono liquido, multiforme ed eclettico.

Un certo cambio di direzione si era già  notata con il primo singolo Flesh Without Blood, un brano veloce e coinvolgente, in cui l’asse portante è un riff luminoso ed arioso di chitarra.
Un ridimensionamento del beat elettronico, che comunque rimane presente, per una musica che è più poliedrica e strumentale.
Attitudine riproposta pure in brani come “California” o la title-track “Art Angels” in cui l’essenzialità  del synth e la cupezza di “Oblivion” cede il passo ad una ritmica spensierata e vivace.

A fare da contraltare ci sono pezzi in cui torna preponderante la vecchia passione “sintetica” di Grimes. In World Princess part II si torna a ballare: ritmi dance, ritornelli con synth belli pieni, parte emozionale con il sottofondo che si sfilaccia e diventa più nebuloso. Insomma, una tipica canzone pop dei nostri tempi.

In questo enorme universo di sonorità  quello che veramente stupisce è la sapienza con cui si amalgamo tutte le influenze per dare al lavoro una forma compatta e coerente a se stessa.
Questo non si avverte solo nel susseguirsi dei brani, uno dopo l’altro ma anche all’interno delle singole tracce.
“Easily”, per esempio, in cui un soffice piano che si amalgama alla voce tenue e caratteristica di Claire, si disperde in un intermezzo quasi trap (quasi, eh), per poi chiudersi in un partitura per archi.
Venus Fly, poi, con quel beat pieno e gocciolante, sostenuto da un’ispiratissima Janelle Monáe che gioca a fare M.I.A. e di nuovo gli archi in chiusura, è la perfetta sintesi di quella che è stata la formula del successo di Grimes fino ad ora. Mi sbilancio, dai: è anche il brano più convincente dell’album.

Potremmo fermarci qui, ed andrebbe già  bene. Invece no, c’è anche “Realiti” cioè il pezzo più smaccatamente pop dell’album, con un sound educato che lo fa sembrare un brano di Katy Perry particolarmente ben riuscito. Probabilmente sarà  una delle tracce che trainerà  “Art Angels” nei mesi a venire per la sua natura così radio-friendly. Non è una canzone però che offre particolari spunti e sussulti all’ascoltatore.

Stringendo, torno al mio voto. E’ molto alto e sono sicuro che non se lo meriti, in senso assoluto. A parer mio, in questo 2015 ce ne sono stati di album più convincenti. Nella mia Top 10 sicuramente per Grimes non ci sarà  spazio(spoiler!).
Allora perchè, vi chiederete voi.
Beh, “Art Angels” è straordinario perchè, pur inserendosi in un’industria votata unicamente al consumo, vive di momenti sorprendenti e di contaminazioni, a differenza della grandissima maggioranza delle produzioni degli artisti pop che ripetono la stessa formuletta del successo fino alla nausea.
E’ un album che dà  tanto, e che riesce ad essere orecchiabile senza risultare scontato.
Eccolo qua, il senso del mio voto.
E’ un Lp che, nell’industria pop, molto banalmente eccelle. Un po’ per meriti propri ed un po’ per contrasto. Dà  respiro ad un ambiente che ormai ristagna da troppo tempo ed in cui ci esalta per Adele che canta sempre la stessa canzone.