Alla fine degli anni ottanta, Carol una timida casalinga californiana (una giovane Julianne Moore) passa le proprie giornate immersa nella ripetitiva borghesità  del proprio quotidiano.
Assicurandosi che il nuovo divano sia del giusto colore, frequentando un corso di aerobica per lobotomizzate, seguendo le ultime mono-diete depurative; ma soprattutto sottomettendosi incondizionatamente al marito (Greg White) a completamento della “perfetta” famiglia americana.
Lentamente però, nella sua vita si apriranno delle crepe che ne contamineranno la stabilità  asettica.
All’inizio con delle crisi respiratore, poi con delle perdite di sangue dal naso insieme a rush cutanei che però non sembreranno trovare soluzione nelle diagnosi dei medici.

Fino a che Carol si convincerà  di essere affetta da sensibilità  chimica multipla, una malattia rara che rende impossibile metabolizzare le sostanze tossiche presenti nell’ambiente e che la porterà  a cercare rifugio a Wrenwood, un centro di riabilitazione fondato dal carismatico Peter, dal quale cercherà  di ottenere risposte sulla propria condizione.
Utilizzando come pretesto il tema dell’ecologismo caro all’ondata new-age degli anni ottanta, Haynes alla seconda prova da regista (all’epoca ancora indipendente) inganna in realtà  sin dal primo momento lo spettatore. Quest’ultimo viene infatti lasciato solo, senza alcun indizio o canone interpretativo che possa dargli sollievo nella visione della pellicola certamente di non semplice letture. Realizzando così più che un film, un’operazione senza anestesia tramite la quale fa penetrare sotto pelle di chi guarda, come ad una cavia, il contagio di provare empatia con la protagonista affetta da una malattia incurabile.
Quello che è certo è che il regista amplia il discorso ad una dimensione universale che trascende i singoli personaggi coinvolti nella storia; focalizzandosi piuttosto sulle “vere” piaghe sociali dell’ultimo secolo. Come l’omologazione derivata dal consumismo o la spersonalizzazione degli individui vittime dei modelli di successo prodotti a tavolino da ricerche di mercato.

Tutto ciò non ha senso e non ha altro effetto che farci desiderare beni di cui in realtà  non abbiamo bisogno e che ci allontanano sempre di più da noi stessi.
Ma questa appunto è una deriva dell’ invisibile, e Haynes in maniera pessimistica offre a Carol, con la figura del santone Peter, una zattera di salvataggio che è in realtà  solo un’altra bolla di speranza; in cui poter fluttuare allontanandosi dalla natura effettiva dei suoi problemi.
E proprio in questa maniera si chiude il film, cioè con la speranza che la protagonista riesca nel miracolo di compiere il primo atto di verità  verso se stessa; accettarsi e tramutare la malattia in una benedizione che faccia da detonatore alla sua infelicità , per troppi anni tradita da sorrisi finti e risposte compiacenti.

Wide Screen: come in pittura si definiscono colori primari quelli che non si possono ottenere dalla commistione di altri colori, ma dalla cui combinazionesi può ricavare ogni altro colore; in questa rubrica parleremo di film unici e fondamentali, che costituiscono la matrice perduta della settima arte.