Sempre più popolari nel circuito alternativo anche se con un solo lavoro lungo all’attivo, le quattro Savages sfornano una seconda opera in studio di nuovo convincente da tutti i punti di vista, con un tocco ulteriormente “sporcato” che sposta l’ago della bilancia sull’oscurità  e sulla contundente rotondità  (se ci passate l’ossimoro) di un sound che pochi (o poche) sanno proporvi al giorno d’oggi, e, nondimeno, su un impianto lirico ancora più essenziale e diretto.

Vengono così sfondate le palizzate del post-punk verso un suono che abbraccia e plasma un gothic rock multiforme (a sfatare ulteriormente, se ce ne fosse ancora bisogno, il luogo comune di “Joy Division in versione femminea”), eppure sempre riconducibile al contempo alla visione di un monolite nero sul quale sono incisi i proclami/riflessioni di Jehnny Beth, un monolite grondante morte ma ancor più vita, sangue ma a suo modo, ancor di più, una luce di rabbia e amore.

Manca forse l’effetto-sorpresa e al contempo rassicurante di “Silence Yourself”, ma va colta l’operazione di stratificazione/sottrazione e la ricerca probabilmente più approfondita avvenuta con questo nuovo più ostico lavoro. In effetti, a ben rifletterci, una mina death-rock come “The Answer”, distruttivo inno all’esistere che raccoglie tutte le sensazioni e pulsioni poc’anzi descritte, non è esattamente ciò che ti aspetteresti dalla penna del quartetto: riff di chitarra più ripetitivi, ipnotici e soprattutto distorti che mai, una Beth sciamanica e altera che fa a pezzi tutti gli spettri di Siouxsie possibili, una sezione ritmica che insiste su frasi arcignamente caracollanti e convolute.
Altri notevoli numeri del lotto sono la susseguente “Evil”, una specie di “She Will” più velenosa e notturna, la cavalcata malmostosa di “When In Love”, che unisce romanticismo a briglia sciolta e umori torvi, e “Surrender”, metà  esperimento industriale e metà  epico nonchè frastagliatissimo galoppo all’interno di una spirale onirica di remissività  e di rivalsa.

Personalmente però ho apprezzato particolarmente i due episodi più enigmatici e meno esplosivi presenti, cioè “Adore”, manifesto tematico dell’album e sopraffino esempio di ricercato minimalismo e sottilissima tensione tenuta sotto controllo sino alla fine, e “Mechanics”, sigillo atmosferico dell’album, che chiude un pesante sipario nero su una tracklist di grande efficacia, che però ha bisogno di una certa attenzione e concentrazione per essere davvero apprezzata.