Se si pensa alla rappresentazione del gotico al cinema il primo nome che viene in mente è senza ombra di dubbio quello di Tim Burton. Nessun altro è riuscito, grazie alle sue opere, a caratterizzare un genere oscuro, grigio ed esagerato come il regista nato a Burbank in California nel 1958. E c’è un film che è la sintesi di tutto il cinema di Burton, una fiaba cupa e drammatica che graffia con lame affilate la società perbenista americana e lo fa con poesia e romanticismo. Il film in questione è Edward mani di Forbice che ha come protagonista l’attore feticcio del buon vecchio Tim, Johnny Depp.
Una storia immortale quella del povero Edward, ragazzo costruito in laboratorio come un moderno Frankenstein a cui però mancano le mani e al loro posto ci sono delle lunghe lame simili ad affilate forbici. Il suo volto è quasi bianco, coperto di molte cicatrici ma il suo animo è buono. Purtroppo per lui si troverà ad essere escluso da una società che in un primo momento lo aveva ammirato perché la sua “stranezza” poteva essere sfruttata per tagli di capelli e potature artistiche. L’essenza del concetto di cinema stesso di Burton è sempre stata quella di rendere protagonisti gli strambi, i disadattati, i secondi, quelli dimenticati e di far capire come in realtà la vera mostruosità sia la normalità. Il film è un omaggio al cinema muto (Johnny Depp dirà poco più di 100 parole durante tutto il film), alla comicità tenera e velatamente malinconica dei film di Chaplin, al cinema brillante e quasi teatrale degli anni ’50 e alla letteratura gotica e del romanticismo. E saranno due donne che per ragioni diverse cercheranno di far sentire Edward meno solo e spaesato, una è il personaggio interpretato da Dianne Wiest, vincitrice di due premi oscar, e l’altro quello interpretato è Winona Ryder. Rispettivamente madre e figlia che cercano di far integrare questo essere vestito con abiti strani e lame al posto delle mani con la tenerezza di una madre e di un’amica che potrebbe innamorarsi. E la chimica fra Johnny Depp e Winona Ryder è l’essenza stessa del film, una recitazione fatta di sguardi e sorrisi rubati, forse anche grazie alla loro relazione.
Tim Burton riesce in questo film, più che in altri, a far sentire la sua mano e la sua presenza a partire dai titoli di coda fino ad arrivare ai titoli di testa, con un tocco romantico e triste ad ogni inquadratura. La scena che però è l’essenza di tutto il film è quando Edward incomincerà a tagliare i capelli di una signora che sembra avere quasi un orgasmo mentre subisce l’acconciatura e che dirà che quella è stata l’esperienza più sconvolgente di tutta la sua vita, simbolo della morbosità e della noia che affligge la nostra società che cerca di catalogarci ma riesce sempre e solo a farci amare e odiare e desiderare tutto ciò che è diverso.
EXTRA SHOT: Il talento di un regista raccontato attraverso un film che lo rappresenta e attraverso quei piccoli colpi di genio che lo rendono un cult.