Dimentichiamo le atmosfere garage dei primi lavori: “Stiff” ci dice che la mutazione è avvenuta. I sapori ruvidi e decisamente punk di “Let’s Talk About It” e “Shake Shake Shake” si sono andati allegramente a benedire; oggi White Denim è sinonimo di brillantezza e voglia di arrivare. La dimensione attuale vede soul, funk, blues e psych fondere insieme per dare vita a una miscela detonante dal sapore vintage. L’energia è quella garage di una volta, il risultato è molto più eterogeneo. Una mutazione abbozzata su “D”, maturata con “Corsicana Lemonade” e certificata da questo ultimo, studiatissimo e scintillante album del quartetto di Austin.

Registrato con Ethan Johns (Kings Of Leon, The Vaccines), in “Stiff” ci sono echi Doobie Brothers e Allman Brothers Band, il tutto in salsa molto seventies e R&B. La passione e la profondità  del soul incontra l’irrequietezza e l’immediatezza del funk. Risultati, questi, raggiunti con l’ingresso nella band texana del chitarrista Jonathan Horne e del batterista Jeffrey Olson, aggiuntisi al cantante e chitarrista James Petralli e al bassista Steve Terebecki. Una nuova lineup che sa dare la giusta dose di benzina a una band che, per dirla tutta, faceva già  del rock energico e adrenalinico il suo biglietto da visita ma che, come detto, lo faceva in modo più primitivo e (forse) genuino. Oggi lo stile di Petralli è blues and soul, la sinergia tra le due chitarre ricorda le migliori jam session del passato, mentre Olson e Terebecki riescono a definire senza problemi ritmi forsennati e atmosfere suadenti tipiche R&B.

I primi ruggiti di “Stiff” sono tutti nell’avvolgente “Had 2 Know (Personal)”; Petralli mette subito il sigillo all’lp certificando il suo ruolo di leader con un cantato energico e di impatto; le chitarre si producono in riff coinvolgenti e la batteria e il basso rendono il tutto estremamente organico e coerente. Ma è con il secondo brano, “Ha Ha Ha Ha (Yeah)” che l’adrenalina schizza a duecento all’ora: Petralli veste i panni di un redivivo James Brown, guidando un ritmo irresistibile anche per l’ascoltatore più pigro; siamo nel funky più sfrenato, da qualche parte risuona “Fire” di Jimi Hendrix e l’album dà  la sensazione di decollare come un razzo diretto nello spazio. L’apice però è e resta quello. Da lì si scende, o al massimo si resta in quota.

Le atmosfere sono gradevoli e trascinanti: “Holda You (I’m Psycho)” e “There’s A Brain In My Head” consegnano minuti di soul rock con divagazioni blues interessanti. Evidente il richiamo a Gary Clark Jr, bluesman con il quale, oltre alla città  di origine, i nostri condividono anche una buona fetta dell’attuale ispirazione. Mood molto più contenuto con “Take It Easy (Ever After Lasting Love)”; è comunque sempre Petralli a farla da padrone alternando un falsetto dolciastro a un approccio soul più compatto e definito. “(I’m The One) Big Big Fun” è un’altra ballata suadente e molto ben congeniata dove percussioni sudamericane, cori in falsetto e chitarre funky accompagnano l’ascoltare verso lidi sperduti (c’è anche un vago sapore Red Hot Chili Peppers qui). Con “Real Deal Mama” il ritmo torna agli upbeat della prima metà  del disco; “Mirrored In Reverse” è un’esplosione prog rock che sembra uscita da una registrazione anni ’70, mentre “Thank You”, ultimo brano di un album che si attesta sui 35 minuti di ascolto, è più che altro un esercizio di stile tra cambi di ritmo, scale vertiginose, passaggi soft e un synth malandrino dove è sempre il buon Petralli a dare l’imprinting definitivo a un’idea complessivamente psych-soul.

Ecco, questo è “Stiff”. Nota più nota meno. Un lavoro che sicuramente deluderà  i fan della prima ora, quelli che pensavano di trovarsi di fronte a un’ottima garage band piuttosto valida e incazzata. Cambiare però a volte può essere la soluzione giusta. E da questo punto di vista saranno contenti (e lo sono) i cultori della musica ben concepita, ben arrangiata e molto ben presentata.